La Nuova Sardegna

1963. La casa della Nuova Sardegna è in via Porcellana

di Sandro Macciotta, 4 novembre 2007
L'installazione della rotativa Goss nella sede di via Porcellana nel 1981
L'installazione della rotativa Goss nella sede di via Porcellana nel 1981

15 novembre 2021
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L’avventura della Nuova Sardegna in via Porcellana è durata 44 anni. Nel palazzo all'angolo con via Muroni dove c'era stata la sede del Corriere d'Isola, la Nuova arrivò da via dei Mille nel maggio del 1963. Gli azionisti dell'epoca (Gallizzi, Serra, Sechi, Atzena, il direttore Satta Branca e altri) sotto la guida dell'accorto amministratore Princivalle, decisero di dare al quotidiano non solo una moderna sede (disegnata dall'architetto Mossa) con un'ampia redazione ma anche “nuove” macchine. Sbarcò così a Sassari una storica rotativa, costruita nel 1920 a Plauen nella ex Germania dell'Est, che aveva addirittura stampato l'Avanti ai tempi di Mussolini. In realtà - come ricorda Giulio Pirino, direttore di tipografia della Nuova dal 1966 al 1984 - ne arrivò solo metà, il tanto per stampare 16 pagine. L'altra metà finì a Firenze per morire annegata dall'Arno nella grande alluvione del novembre '66.

«L'artefice dell'acquisto del palazzo di via Porcellana _ ricorda Vittore Cordella, per molti anni amministratore e vicepresidente della Nuova _ fu senza dubbio il dottor Princivalle. Ex bancario, era noto per la sua lungimirante taccagneria. Una volta arrivò al punto di far svuotare tutti i calamai. Poi ordinò a Luigi Floris di foderarne il fondo con pezzi di camera d'aria di bicicletta. I giornalisti _ sentenziò _ sono nervosi e spuntano troppi pennini. Che costano una lira l'uno...». Ma i piccoli risparmi fanno grande l'azienda. La Nuova in via Porcellana arrivò ad avere ben tredici linotype, erano 8 nella sede di via dei Mille, un paio quando si stampava (con una macchina verticale) in via Deffenu. «Quella sede _ ricorda Cenzo Casu, per una vita linotipista alla Nuova e poi archivista da quando la composizione a caldo fu sostituita dai computer _ era veramente striminzita: non c'era un tavolone per la redazione ma solo un banchetto per il severissmo correttore di bozze Ninetto Porqueddu».

Nel 1967 la Nuova fu acquistata da Nino Rovelli. Seguirono tempi cupi per i giornalisti che dovevano fronteggiare _ con alterni risultati per l'informazione _ le incursioni dei proconsoli della Sir. E quando, fallita la scalata a Montedison, cominciò il declino del gruppo con conseguenti indagini sul crac della Sir, ci fu anche un'incursione di carabinieri che _ armi in pugno _ cercavano un passaggio segreto tra la redazione e i confinanti uffici della società chimica, in via Risorgimento. Negli anni di piombo del terrorismo anche la Nuova finì nel mirino del partito armato. Accusata di essere _ in quanto proprietà di Rovelli _ una delle pedine del Sim (lo stato imperialista delle multinazionali) si beccò una bomba collocata a tarda sera nell'allora ingresso secondario di via Porcellana. Il botto mandò in briciole la soglia ma non l'orgoglio dei giornalisti che molto sassaresemente commentarono: caz... una bomba.

Durante il sequestro del giudice Sossi, la linea dura contro le trattative con le Br aveva alla Nuova nel telefonista Gavino Dettori una delle più limpide espressioni. Chiamato più volte di mattina presto in questura per testimoniare su rivendicazioni e minacce brigatiste, appena sentiva la fatidica frase «qui Brigate rosse...» sbatteva giù il telefono. Nel 1980 la Nuova fu acquistata dal Gruppo l'Espresso di Carlo Caracciolo. Nel maggio dell'anno successivo la vecchia rotativa Womag fu sostituita da una Goss Comunity, le linotype andaro in pensione e cominciò l'era della fotocomposizione a freddo e dei computer. Seguirono anni di crescita tumultuosa.

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