La Nuova Sardegna

1981. La Nuova diventa ancora più Nuova: con il Gruppo Espresso cambiano formato, contenuti, tecnologie

di Luigi Bianchi e Salvatore Tola
Il paginone con cui il 3 maggio 1981 fu presentata la nuova veste del giornale
Il paginone con cui il 3 maggio 1981 fu presentata la nuova veste del giornale

Il 5 maggio nelle edicole un numero storico. L'editoriale: «Aspiriamo ad essere, ancora una volta, libera espressione della coscienza isolana». I computer in redazione e in tipografia, l'addio a linotype e piombo, la moderna rotativa da 25mila copie all'ora

21 novembre 2021
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Martedì 5 maggio 1981 il giornale arriva in edicola nel nuovo formato “tabloid”, più agile e moderno. Con questo editoriale intitolato “Novanta anni di storia nel computer” il direttore Luigi Bianchi presenta La Nuova Sardegna rinnovata

Da ieri, alla «Nuova», non si vedono più i camici neri dei tipografi, sono scomparsi gli scaffali ingrommati, con le file allineate dei caratteri, e il bancone, quel lungo bancone rivestito di ferro e costellato di chiazze di inchiostro, attorno al quale generazioni di operai e di giornalisti hanno trascorso le loro notti. Per la «Nuova» si è chiusa un’epoca se ne è aperta un’altra, all’insegna dell’elettronica. Immagini familiari, che abbiamo avuto sotto gli occhi fino a poche ore fa, sembrano già sprofondate nel tempo, entrate nell’album dei ricordi, cancellate da immagini nuove.

Camici bianchi, pareti di cristallo, tastiere linde dei videoterminali, sottili pellicole di plastica al posto delle pagine di piombo. È come se un disegno di Man Ray con i suoi tratti irreali fosse stato sovrapposto a una vecchia silografia di Dorè, di quelle della Londra industriale e fumosa dell’ultimo ottocento. Ma, nel momento in cui comincia per il nostro giornale un capitolo nuovo, desideriamo che un punto sia chiaro. Le novità tecnologiche, che sono state preparate in questi mesi e che ora irrompono sulla scena, per quanto importanti possano essere e destinate a imprimere una svolta nella storia della «Nuova Sardegna», non toccano l’essenza del giornale. Al di là di esse, al di là del formato «tabloid» e dei ritocchi alla grafia della testata, restano i novant’anni di storia, durante i quali la «Nuova» è stata, nel bene e nel male, protagonista di primo piano delle vicende di quest’isola.

Quei novant’anni non soltanto non sono stati ripudiati, ma rimangono il nostro punto di riferimento, perché il giornale continui a progredire, anche in questa terza fase, entro l’alveo segnato dai fondatori. Se parliamo di una terza fase, piuttosto che di semplice continuità, non è senza un motivo. Terza fase dopo quella che si chiuse bruscamente nel gennaio del ’26, quando il regime fascista ordinò la soppressione di un giornale troppo scomodo per poter essere ignorato da chi allora non tollerava critiche; e dopo quella che, cominciata nel clima euforico dell’immediato dopoguerra, si è conclusa con il tramonto della gestione rovelliana. Due fasi diverse una dall’altra, come diversi sono stati i tempi e le condizioni in cui si sono svolte.

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Ora la «Nuova» riprende il cammino, con un impianto fra i più moderni d’Europa, in una Sardegna e in un’Italia profondamente cambiate rispetto a quelle di novanta e di trent’anni fa. Ma riparte con il medesimo spirito. Siamo convinti anche noi che l’avvenire di quest’isola, anche se non può essere avulso dal contesto nazionale, è affidato innanzitutto ai sardi, alla loro volontà, alla loro operosità, alla fiducia che avranno in se stessi. Perché né l’Ente regione né lo Stato potranno mai fare miracoli se manca l’iniziativa dei cittadini. Sentiamo di poter ripetere oggi le stesse parole che apparvero trentaquattro anni fa, il 27 aprile 1947, sul primo numero della «Nuova Sardegna», risorta dopo il lungo silenzio impostole dai fascisti: aspiriamo ad essere, ancora una volta, libera espressione della coscienza isolana.

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Ed ecco come Salvatore Tola ricostruisce quei giorni quarant'anni dopo

La trasformazione della «Nuova Sardegna», annunciata da qualche mese, apparve in tutta la sua evidenza la mattina di martedì 5 maggio 1981: il fascicolo arrivato in edicola era in formato ridotto (tabloid) rispetto a quello tradizionale; e nella testata campeggiava il titolo sintetizzato «La Nuova», mentre quello precedente compariva sotto, con i caratteri originali, ottocenteschi, in formato ridotto. Chi aveva seguito gli articoli di anticipazione sapeva che il nuovo prodotto era frutto anche di un radicale rinnovamento tecnologico. Che per molti, in tempi in cui il personal computer era ancora sconosciuto, non era facile capire: si passava dalla procedura «a caldo», con il piombo che si fondeva nella linotype, a quella «a freddo», che correva sulle tastiere, gli schermi e i cervelli artificiali dei calcolatori elettronici.

La sostituzione delle macchine e degli strumenti aveva comportato modifiche all’interno della sede del giornale, che era allora in città, in via Porcellana. Per la stampa era stata installata una roto-offset Rockwell-Goss arrivata dagli Stati Uniti. Veniva così dismessa la Vomag Plauen, di fabbricazione tedesca, che vantava una «carriera» molto lunga, legata anche alla storia del paese: era stata adottata per la prima volta, nel 1920, dal «Giornale d’Italia» di Mussolini che, dopo anni di vita difficile, cominciava a godere del sostegno di potentati industriali, finanziari e agrari. Era passata in seguito ad altri giornali, fino ad arrivare al «Giorno» dopo di che, nel 1963, era stata installata a Sassari. Al momento in cui veniva messa da parte si prevedeva di farla confluire, insieme ad altre macchine da stampa, in un «Museo grafico» cui il Comune si impegnava a dare vita: un progetto andato purtroppo in fumo. La nuova rotativa, intanto, metteva il giornale all’avanguardia in Europa: poteva stampare fino a 40 pagine al ritmo di 25mila copie l’ora; cosa che avrebbe consentito di dare un’edizione teletrasmessa della «Repubblica». Era stato rinnovato anche il settore della «prestampa», che avveniva ora attraverso due calcolatori e due fotocompositrici cui si collegavano i videoterminali.

Il numero del 5 maggio 1981 si apriva con l’editoriale di Luigi Bianchi, il direttore alla guida della transizione che seguiva il passaggio della «Nuova», dopo gli anni dell’appartenenza alla Sir di Rovelli, al gruppo dell’«Espresso». Riportava le immagini simbolo del cambiamento che vedeva intorno a sé: «Camici bianchi, pareti di cristallo, tastiere linde dei videoterminali, sottili pellicole di plastica al posto delle pagine di piombo»; e precisava che, per quanto radicali fossero le innovazioni, non si intendeva cambiare l’essenza del giornale consolidata in novant’anni di storia.

Per il resto il giornale dimostrava in tutte le pagine l’impegno a dare attuazione sia ai progetti formulati al suo interno che alle aspettative dei lettori. Giovanni Frogheri, studente del liceo «Azuni» di Sassari, aveva chiesto che al rinnovamento tecnologico si facesse «corrispondere anche un cambiamento del modo di fare il giornale». Ed erano arrivate richieste di occuparsi di meno dei gruppo politici e più dei giovani, degli operai; e ancora degli eventi culturali, dei problemi sociali, della condizione della donna… Di fatto il giornale diventava interprete ancora più attento della realtà isolana, grazie anche alla più ampia articolazione delle pagine: alle cronache cittadine, da Cagliari e dalle altre regioni si alternavano l’attualità, l’economia, la politica regionale, una «pagina aperta» di interventi e lettere, più naturalmente lo sport, la cultura, gli spettacoli.

Arrivarono ben presto i segni di apprezzamento da parte del pubblico, e il giornale poté aumentare la diffusione, contendendo più efficacemente gli spazi al quotidiano concorrente di Cagliari. Al rinnovamento contribuiva anche la sezione dedicata alla cultura, che non aveva più spazio nella «terza pagina» ma in una sezione sistemata più avanti, in abbinamento con gli spettacoli. A dirigerla arrivò dalla penisola Stefano Del Re, professionista giovane ma già molto esperto, che nel giro di poco tempo si fece un’idea dell’isola in generale e delle correnti e dei gruppi di pensiero che l’animavano. Strinse più stretti contatti con i collaboratori, fece in modo che ognuno seguisse il settore più congeniale e che gli articoli non nascessero dall’iniziativa individuale ma da uno scambio, alla luce di una visione più ampia. Introdusse nuovi temi, avviò inchieste e rubriche, ottenne collaborazioni prestigiose, come quella del geografo francese Le Lannou, vecchio amico della Sardegna. Dopo alcuni anni fu destinato ad altro incarico, sarebbe tornato nel 2005 per assumere la direzione del giornale.

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