La Nuova Sardegna

Il brio Belle époque incanta il Comunale

di Antonio Ligios
Il brio Belle époque incanta il Comunale

Applausi per la chiusura con “La vedova allegra”

06 dicembre 2021
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Si è conclusa al Comunale di Sassari la stagione lirica dell’Ente De Carolis. Il compito di far calare il sipario sul cartellone di quest’anno, che ha rappresentato il momento della ripresa dopo la pandemia, è spettato alla Vedova allegra di Franz Léhar, regina delle operette, punto di arrivo di un genere di teatro musicale che ha costituito la colonna sonora della Belle époque.

Se infatti il filone viennese dell’operetta può dirsi idealmente inaugurato nel 1874, con la prima del Pipistrello di Johann Strauss, altrettanto si può affermare che il punto di arrivo di questo ambito del repertorio operettistico è rappresentato proprio dalla Vedova allegra, andata in scena per la prima volta nel 1905: simbolo di una società ancora inconsapevole delle rivoluzioni – anche musicali – che l’attendono, e dell’incombente immane tragedia del primo conflitto mondiale. Da allora il capolavoro di Léhar rappresenta l’operetta per antonomasia, perfetta miscela di esplicito erotismo, garbata comicità, genuina spensieratezza, il tutto immerso nelle vorticose movenze del valzer, che acquisisce con Léhar una propria specifica identità – potremmo affermare – prudentemente moderna. Alcune delle sue pagine più felici, tra cui i grandi temi dei valzer (da quello sensuale del duetto Tace il labbro e quello più brillante delle Sirene della danza), la composta Romanza di Vilja e la scanzonata pièce con cui Danilo inneggia alla vita libertina (Vo’ da Maxim, allor) rappresentano ancor oggi le icone inconfondibili di quella felice stagione. L’allestimento proveniva da una produzione del Teatro Coccia di Novara, fondata su semplici e funzionali scene e sgargianti costumi firmati da Artemio Cabassi e sulla regia di Renato Bonajuto e Andrea Merli, quest’ultimo grande conoscitore del repertorio operettistico nonché noto corrispondente della trasmissione radio La Barcaccia e della rivista l’Opera: una regia ordita nel solco della tradizione, brillante e dinamica ma allo stesso tempo priva di forzature. Ottima la direzione di Sergio Alapont, tesa a valorizzare le finezze di una partitura fresca e dal gusto tipicamente viennese, e a conferire il giusto ritmo alla rappresentazione.

Sul palcoscenico svetta innanzitutto la presenza scenica e il ritmo teatrale di Andrea Binetti, un brillantissimo Njegus. Luci e ombre nel resto della compagnia vocale. Madina Karbeli tratteggia un’Hanna Glawary sensuale e maliziosa ma non esente da alcune pecche vocali, e anche il Conte Danilo convince maggiormente sul versante scenico che su quello musicale. Accettabile la Valencienne di Francesca Pusceddu, mentre non priva di qualche forzatura vocale la prova di Marco Miglietta nei panni di Camille de Rossillon. Efficace anche la caratterizzazione del Barone Mirko Zeta, interpretato da Clemente Antonio Daliotti. Completavano degnamente il cast William Hernàndez, Marco Puggioni, Paolo Masala, Margherita Massidda, Matteo Loi, Lara Rotili, Francesco Scalas e Teresa Gargano.

All’altezza dei rispettivi compiti, infine, l’orchestra e il coro del De Carolis, quest’ultimo istruito da Antonio Costa, e nel complesso dignitosi gli interventi del corpo di ballo della Compagnia Romae Capital Ballet. Il successo è stato caloroso, suggellato da lunghi applausi.

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