La Nuova Sardegna

Il ritorno di Manzini: Schiavone indaga su un bambino ucciso

di Mauretta Capuano
Il ritorno di Manzini: Schiavone indaga su un bambino ucciso

«La violenza sui minori, uno scandalo che resta nascosto Silvio Berlusconi al Quirinale? Ci dica dei letti in ospedale» 

15 gennaio 2022
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Sciolti molti nodi del passato in “Vecchie conoscenze”, Rocco Schiavone deve ricominciare da zero e non sarà facile. Il primo passo che fa è il distacco da Roma, come Antonio Manzini ci racconta nelle prime pagine dell'undicesimo romanzo con protagonista l'amato vicequestore, “Le ossa parlano”, appena arrivato in libreria per Sellerio (397 pagine, 15,00 euro), ma il cuore della storia è l'infanzia violentata, abusata e negata. «Quello da Roma è un distacco definitivo. Se non sarà per cause di forza maggiore Rocco non ci tornerà più. Ormai Roma non è più lui. Mi piace vedere che il tempo passa su questo personaggio e cambiano le sue abitudini, le frequentazioni. È divertente» dice Manzini, che da Roma si è staccato tanti anni fa «senza nessuna tristezza, rimorso o rancore, perché non la amavo più. Rocco si stacca invece perché non gli assomiglia più».

Schiavone si porta via però lo specchio della moglie Marina che ha sempre nel cuore, nell'anima, nel cervello, è la sua vita. «Dalla moglie non si può staccare, è difficile farlo dalle cose non fisiche. Il pensiero della moglie ci sarà sempre. Sta diventando una malattia mentale», spiega Manzini. Per il vicequestore «la solitudine è una seconda veste» e la sua ripartenza, se così si può chiamare, «è a freddo. Non è un motore brillante. Accetta la strada dove lo ha portato la vita. Rocco continua nel suo viaggio lento e sonnacchioso, depresso e deprimente essendo lui affetto dalla depressione ormai conclamata», racconta lo scrittore.

Ma questa volta in “Le ossa parlano” si trova davanti a un caso terribile, che lo disequilibra: le ossa umane trovate in un bosco sono quelle di un bambino, Mirko, scomparso sei anni prima, che la madre, una donna sola, non si è mai rassegnata fosse morto. «Mi è capitato l'orrore», dice all'amico Rocco... «È un po’ una spada di Damocle. C'è sempre questa situazione terrificante della violenza ai bambini, sotterranea, di cui si comincia a parlare anche meno perché non fa notizia, l'orrore di non fare notizia. Però i bambini continuano a essere violentati, abusati. Una delle cose più terribili che l'essere umano possa fare è negare l'infanzia ai bambini. Avevo visto una fotografia della guerra in Siria con una bambina che piange, il padre che l'abbraccia ma lei ha paura, ha perso l'infanzia, ha perso tutto», dice Manzini che riflette anche su come i piccoli e i ragazzi hanno vissuto questi anni di Covid. «Sono stati sbatacchiati. Mi dispiace tanto vederli così. Non vanno più a scuola che è l'unica esperienza sociale. Si rischia di fare una generazione di hikikomori, di persone che stanno dentro la stanzuccia a guardare i social e non escono più, non dialogano più con gli altri. Ho pensato che era il caso di parlare dell'infanzia negata, abusata. Mirko è un bambino a cui è stata negata non solo l'infanzia ma anche la vita. Buttato sul ciglio di una strada, è terribile».

Giusto dunque il ritorno a scuola? «Non mi sono fatto opinioni politiche. Mi sono arreso, ascolto chi ne sa più di me e mi devo fidare. Facessero ciò che è necessario per le scuole e per i bambini, ciò che è necessario per la salute. Ma non sento più una parola sul fatto che hanno massacrato la sanità pubblica per trent'anni a favore di quella privata, dal governo Berlusconi a Renzi cancellando centinaia di migliaia di posti letto. E il problema principale della pandemia è stato proprio questo per cui c'è un no-vax che si deve ricoverare e nega a un signore che deve fare un intervento oncologico la possibilità di usare la terapia intensiva. Questo è pornografico. Il problema però non può ricadere sempre sull'ultimo della lista. Qualcuno faccia pagare qualcosa a chi li ha cancellati. I nomi e cognomi ci sono. Perché non sento più una parola su questo e devo invece sentire Berlusconi presidente della Repubblica. Io gli chiederei dove sono i posti letto cancellati?», dice arrabbiato Manzini. Chi vorrebbe Manzini presidente della Repubblica? «Sarebbe bellissimo di nuovo Mattarel la – risponde lo scrittore –. Ma anche Gentiloni. Un democristiano, di quelli tranquilli, figlio delle istituzioni. Di questo c'è bisogno oggi. Non di pregiudicati, quelli no».

Per questo romanzo, ambientato nel 2014, Manzini si è molto documentato, ringrazia il protocollo Eva, una modalità operativa della Polizia di Stato per il primo intervento degli operatori nei casi di violenza di genere e il Labanof «che fa ricerche sugli scheletri quasi da fantascienza, con cui si risale all'identità delle persone», dice. E e aggiunge: «Lo scheletro di un bambino meritava un libro da solo». E questa volta anche Schiavone «sta puntato soltanto a cercare di risolvere questo caso, del resto non gli importa nulla».

Quando si gira la quinta serie con Marco Giallini? «A fine febbraio – risponde Manzini – e andrà in onda in quattro puntate forse in autunno, ma la Rai fa come gli pare. È tratta da “Vecchie conoscenze” e da un paio di racconti». «C'è un tentativo di non chiudere un giallo in ogni puntata. La storia va avanti su due puntate», annuncia Manzini, al quale piacerebbe scrivere un libro per ragazzi, ma per ora ci gira intorno e a fine anno ci dovrebbe essere una pubblicazione Sellerio di un romanzo che ha scritto tanto tempo fa. «Sono incerto, un po’ titubante. Per me è un bellissimo libro, un romanzo strano, popolare, una specie di omaggio moderno al verismo italiano, anticipa lo scrittore.



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