La Nuova Sardegna

Tullio Solenghi: "Nel Trio una coesione magica, il cinema si è dimenticato di noi"

Alessandro Pirina
Tullio Solenghi
Tullio Solenghi

L'attore genovese in tour in Sardegna con l'Orlando Furioso: 30 giugno a Porto Rotondo, primo luglio a Macomer e 2 a San Gavino

24 giugno 2022
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Tullio Solenghi sale in cattedra e porta nei teatri sardi una speciale lezione sull'Orlando furioso. In coppia con l'attore genovese ci sarà il professor Corrado Bologna, già docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa di Letterature romanze medioevali e moderne e Letterature comparate. Un recital a due voci che si rivelerà una "singolar tenzone" tra i versi recitati da un grande interprete e le osservazioni di uno studioso appassionato. L'appuntamento firmato Cedac con l'Orlando furioso di Solenghi e Bologna, diretti da Sergio Maifredi, è per giovedì 30 giugno all'anfiteatro Ceroli di Porto Rotondo, il 1 luglio al Padiglione Tamuli delle ex caserme Mura di Macomer e il 2 all'anfiteatro comunale di San Gavino.

Solenghi, come nasce questo suo incontro con l'Orlando furioso?

«Da un'idea del professor Corrado Bologna che insieme a me fa la lectio magistralis su Ludovico Ariosto. Si è voluta fornire una lettura moderna di questo capolavoro con la presenza di un lettore che non fosse di quelli classici, ma uno più vivo rispetto alla tradizione. Bologna mi ha proposto di leggere alcuni brani mentre lui narra le vicende di questa grandissima opera. Ci alterniamo in una lettura scenica e cerchiamo di ritrovare nuova vitalità in un capolavoro che la scuola ha spesso reso indigesto».

Quali elementi di attualità si trovano nel testo di Ariosto?

«L'Orlando furioso è alla base di tutti i fantasy che sono venuti dopo, fino alle serie del mondo di oggi. Dentro "Il trono di spade" c'è l'Orlando furioso: grande fantasia, invenzione di personaggi straordinari. Avere avuto 500 anni fa l'idea di un tizio che perde il senno e va a recuperarlo sulla luna con un cavallo alato è qualcosa di straordinario. Ariosto fa una lezione di come si inventano le storie. Calvino ne rimase talmente affascinato che ne fece una rilettura - e anche di quella parleremo. In un periodo triste come quello che stiamo vivendo - il Covid, la guerra, la siccità - se uno non si aggrappa ai suoi padri nobili va a finire male. E come si va nella Cappella Sistina per ammirare Caravaggio così si deve rileggere l'Ariosto».

Lei è un attore brillante: c'è dell'ironia nell'Orlando furioso?

«L'Ariosto è molto ironico. Quando Orlando scopre di essere cornuto - quella è la realtà -, insomma, quando la bella Angelica che tutti hanno seguito per mari e monti cede a un Medoro qualsiasi, un giovane senza né arte né parte, e Orlando scopre le lettere d'amore che si scrivono - tipo lucchetti di Ponte Milvio - lui esce di senno e si vivono momenti di grande ironia».

A scuola qual era il suo rapporto con la letteratura?

«Più che dalla letteratura sono sempre stato più affascinato dalla storia. La letteratura l'ho scoperta in età avanzata. Facendo l'attore mi sono avvicinato ai grandi classici della drammaturgia: Molière, Goldoni. Poi mi sono innamorato dei grandi autori russi, ma anche degli italiani: uno per tutti Luigi Pirandello. Insomma, alla letteratura ci sono arrivato tardi ma ho recuperato molto. Anche i nostri Promessi sposi, tanto so che lì ci arriviamo...»

Era la domanda successiva..

.«Anche i Promessi sposi ci siamo imposti di rileggerli. In questo noi del Trio siamo sempre stati molto scientifici: quando si faceva una parodia bisognava essere in possesso dell'originale. E con Massimo e Anna ci siamo innamorati perdutamente del capolavoro manzoniano. E lo stesso mi è accaduto con le serate dedicate all'Odissea, al Decameron di Boccaccio. Ognuno di questi capolavori era relegato nel ricordo scolastico. Ma mai avrei immaginato che anche l'Orlando furioso mi avrebbe dato queste soddisfazioni».

Tornando ai Promessi sposi, come sceglieste i ruoli con Lopez e Marchesini?

«Il modo in cui avvenne la scelta la dice lunga sul tipo di coesione magica che c'era tra noi. Ognuno andò verso i suoi personaggi, non ce ne contendemmo neanche uno: io fui subito Renzo, l'Innominato, Fra' Cristoforo. Anna invece fu Lucia e tutte le altre donne, mentre Massimo era Don Rodrigo, ma anche il Manzoni. Furono scelte automatiche».

C'è un episodio di quel magico set che se ci ripensa scoppia ancora a ridere?

«Ognuno di noi aveva il suo ruolo. Io mi occupavo soprattutto di regia, ma anche dell'istruzione delle comparse. C'era una scena in cui in questa via del borgo - siamo nel 1600 - la donne facevano la lana e gli uomini accudivano le pecore. A un certo punto dico: "guardate che non appena don Rodrigo si mette a ballare il twist sulle note di una canzone di Gianni Morandi dovete mollare tutto e mettervi a ballare". Una delle comparse, inorridita, con l'accento torinese, mi disse: "mi scusi, ma nel 1600 il twist ancora non c'era". Massimo le rispose: "ma è giustificato". E lei: "allora se è giustificato va bene"».

Nella tv di oggi ci sarebbe spazio per il Trio?

«Non lo so, perché gli schemi della comicità si sono completamente modificati. Faccio un esempio: io ero un grande cultore di Walter Chiari, i cui sketch duravano 15 minuti circa. I nostri invece ne duravano 8. Oggi in 8 minuti a Zelig passano tre cabarettisti: noi saremmo spiazzati dai tempi comici di oggi. La rete ha riscritto le regole della comicità».

Oggi chi la fa ridere?

«Delle nuove generazioni mi piace Maurizio Lastrico che a Zelig rileggeva la Divina commedia. E - anche se di una generazione precedente - Corrado Guzzanti. Rido molto anche per Lillo e Greg. E poi Virginia Raffaele, che è un'amica, è esilarante».

Nel suo curriculum, a parte un ruolo da protagonista per Lina Wertmüller, non c'è molto cinema: una scelta o una occasione mancata?

«Non è stata una scelta. Lo dico singolarmente, ma anche come Trio. Il cinema si è dimenticato di noi. Forse ci consideravano troppo televisivi, nazionalpopolari. Peccato, soprattutto quando eravamo all'apice del successo. Ai tempi ci fu una mezza parola con Cecchi Gori, ma poi non se ne fece niente. Con il senno di poi, visto che li hanno fatti fare a cani e porci, un film potevano farlo fare anche al Trio».

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