Enrico Ruggeri: «Al mio primo live nell’isola zero paganti. Io di destra? No, sono una mente libera»
Il cantautore milanese sarà a Pasquetta a Porto Torres: «Ho collaborato con il sassarese Gabriele Masala: un artista eccezionale»
Il suo timbro vocale è unico, inconfondibile. Anche per telefono. Non appena scatta il «pronto!» ti aspetti che lui parta subito con uno dei suoi intramontabili successi. “Contessa”, “Mistero”, “Ti avrò”, o un altro ancora. Non è facile scegliere tra le canzoni di Enrico Ruggeri. Interprete e autore di pezzi pregiatissimi della musica italiana. Una carriera che dagli anni Settanta arriva fino a oggi, spaziando tra il rock e la canzone d’autore. Un cocktail vincente - due i Sanremo portati a casa - che il lunedì di Pasquetta farà assaporare al pubblico di Porto Torres. Un ritorno in un’isola che da sempre lo ha abituato ad accoglienze trionfali. O quasi.
Ruggeri, ricorda la sua prima volta in Sardegna?
«La primissima volta venni con i Decibel nel 1980, a un Cantagiro al Sant’Elia: c’era un sacco di gente. L’anno dopo da solista mi presentai in un piccolo paese, Uta, e feci zero paganti. Non uno, due, tre: proprio zero. Nella discoteca non c’era neanche un manifesto. Mi dissero: “andiamo in paese a bere un caffè, la gente arriva tardi”. Invece, non tornammo nemmeno perché non si presentò nessuno. Negli anni, però, in Sardegna mi sono rifatto con gli interessi».
E ricorda il suo primo concerto in assoluto?
«Come no? Nell’oratorio della chiesa di San Fedele a Milano. Avevo 15 anni».
Che Italia era quella degli anni Settanta?
«Era un’Italia molto violenta, erano gli anni di piombo, per fortuna c’era la musica come rifugio. Ed era un mondo senza internet. Quando con i Decibel ci presentammo per la prima volta a Sanremo nel 1980 c’erano solo gruppi con le voci a falsetto, le camice a sbuffo. C’erano i miei amici Collage. Noi siamo arrivati per cantare “Contessa”, suonando, stando sul palco, facendo le interviste, tutto in modo diverso. Questo solo perché andavamo spesso a Londra. Nulla di più. Ma gli italiani ci consideravano marziani. Oggi un indonesiano fa un video su TikTok e dopo un minuto lo sa il mondo».
1980, Sanremo, quarto posto con i Decibel. Come fu affrontare il successo?
«Fu traumatico. È successo subito un casino, a fine anno ci siamo divisi e io ho ricominciato da solo. È di quel periodo la serata zero paganti di Uta. Ho faticato, poi con “Polvere” la carriera si è rimessa in moto».
Quando capì che era fatta?
«C’è stato un momento preciso. Era il 1984, avevo fatto Sanremo tra i big ma ero il big meno conosciuto. Inizia la tournée, eravamo alla Rotonda di Garlasco, vicino Pavia. Io ero dentro il camerino, non avevo idea di come fosse i locale. Poi, quando sono salito sul palco mi ha accolto un boato: lì ho capito che stava ripartendo in maniera ottima».
Capolavori della musica portano la sua firma. Come nasce “Il mare d’inverno”?
«Come nascono le altre. Ero al Festivalbar per cantare “Polvere”. Ivano Fossati viene a farmi i complimenti e mi dice: “sto cercando pezzi per il nuovo album di Loredana (Bertè, ndr), hai qualcosa?”. Gli faccio sentire “Il mare d’inverno” e diventa il singolo dell’album».
È vero che “Quello che le donne non dicono” era inizialmente destinato a Fiordaliso?
«A volerla era Luigi Schiavone (storico braccio destro di Ruggeri, ndr), io avevo pensato a Lena Biolcati. Poi ci siamo convinti di darla a Fiorella Mannoia, ai tempi la meno conosciuta delle tre».
Sanremo 87, il trionfo di Morandi-Ruggeri-Tozzi con “Si può dare di più”. Chi convinse chi a formare il terzetto?
«Un po’ tutti. Volevamo fare un pezzo della Nazionale cantanti per Natale. Poi ci rendemmo conto che non c’erano i tempi. Così, con Gianni, Umberto e Giancarlo Bigazzi, l’autore, ci dicemmo: “perché non andiamo a Sanremo?”».
Nel 1993 la vittoria con “Mistero”, prima volta di un brano rock al festival.
«Ed è anche rimasto l’unico, fino a due anni fa, con la vittoria dei Maneskin».
Le piacciono i Maneskin?
«A casa io ascolto un altro tipo di musica, ma sono ragazzi che sono nati in sala prove, in cantina. Non con dei post su Instagram. E questa è una cosa già molto positiva. Ai giovani dico: fatevi una band, non state a postare video su TikTok».
L’ultimo Sanremo?
«Non ne ho visto neanche un fotogramma, ero a Barcellona. Però le cose salienti le so, che quelli si sono baciati, quell’altro ha spaccato i fiori...».
All’Ariston si lanciano anche messaggi importanti: con “Nessuno tocchi Caino” ne lanciò uno contro la pena di morte.
«E l’anno prima con “Primavera a Sarajevo”. A Sanremo c’è di tutto, dalle cialtronate alle canzoni importanti. Pensiamo a “Signor tenente” di Faletti».
Nel 2015 ha dedicato “Tre signori” a Gaber, Jannacci e Faletti: chi erano questi tre signori?
«Erano tre menti libere, autonome. Tre persone curiose che facevano un sacco di cose. Gaber teatro e canzone, Jannacci cantava, recitava, faceva anche il chirurgo. E poi Faletti, cantautore partito come comico e arrivato a vendere libri nel mondo».
Enrico Ruggeri di destra: come nasce questa etichetta?
«Perché non mi sono mai inginocchiato davanti alle sedi di partito. Sono una mente libera che di caso in caso prende posizioni. L’ho fatto anche durante la pandemia, affermando che la paura di morire non poteva impedirci di vivere. Ma sono anche un anti-atlantista e simpatizzo per i il popolo palestinese».
Le piace Giorgia Meloni?
«È l’unica che negli ultimi anni è rimasta sulle sue posizioni. Gli altri, pur di governare, sono andati al governo con chiunque. Loro sono stati puniti e lei è stata premiata».
Come nasce la sua svolta tv?
«Per caso. Il direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi, vene a vedermi a teatro e mi chiese di condurre “Il bivio”. Io ero titubante, non avevo mai fatto tv. E lui: “basta che fai come a teatro, tra una canzone e l’altra”. Da lì è partito tutto, fino ad arrivare alle 7 prime serate di Rai 1».
Da poco ha collaborato con il sassarese Gabriele Masala.
«Ho fatto anche un tweet: “la Sardegna ha ottime tradizioni ma numericamente poche: Maria Carta, i Tazenda, Fresu per il jazz, e adesso Salmo”. Gabriele è un artista che andrebbe conosciuto meglio, fidatevi».
Il sogno nel cassetto di Enrico Ruggeri?
«Francamente voglio riprendermi il mio posto, divertendomi. Siamo stati fermi tre anni, ora ripartiamo veramente».