Dal “coffe break” a “Hope for Sennariolo”: l’itanglese dilaga nell’isola
Fioccano i termini rubati alla lingua di Sua Maestà. Ma spesso gli anglicismi complicano i messaggi
Sassari Stare al passo con i tempi è fondamentale. E conoscere l’inglese, ovviamente, è una condizione irrinunciabile. C’è un rischio: trasformarsi in quei personaggi che passano da una “call” all’altra sui vari “device”, magari facendo “gossip” o semplicemente chiacchierando “random” di “fashion”. Perché le esagerazioni si traducono in messaggi incomprensibili, slogan fuori contesto e titoli criptici che sembrano fatti apposta per strappare una risata. Capita così che gli anglicismi, o anglismi, suonino più come moderni “prisencolinensinainciusol” di celentaniana memoria che come aperture al mondo. Lasciando con un palmo di naso tutti quelli che non masticano l’inglese ma vorrebbero comunque capire.
La Sardegna non fa difetto in questa pratica, toccando punte di assoluto no sense, per restare su toni anglofoni. Fatti salvi gli antesignani dell’itanglese come i datati “coffee break”, “workshop”, “convention”, “marketing”, ormai cardini della dialettica, o i numerosi esempi di “experience”, “trekking”, “contest” e “visit” spesi sull’altare del turismo o dello sport internazionale, spuntano come funghi diciture molto più estreme che, forse, potevano funzionare meglio in italiano. O in sardo. In questo modo si sarebbe trovata una soluzione all’imbarazzo di chi si imbatte nel laboratorio di Sardegna Ricerche battezzato “Geoweb and mobile user experience”. È un progetto destinato alla Rete, dunque anglofono per esigenza, ma forse qualcosa si sarebbe potuto limare a favore della lingua di Dante. Anche per comunicare cosa significhi, che poi è il minimo che ci si possa aspettare dal titolo di un’attività nata nell’isola. Sardegna Ricerche, poi, ha un debole per l’inglese e nel 2022 ha promosso un convegno dedicato al turismo sostenibile in cui nel macro gruppo “Destination inside Sardinia” spiccavano i progetti “Baronia greenland” e “Rete Sardinia Long Stay”, due chiari esempi di “Revenue Management”.
Sorry, what? Ops: “Scusa, cosa?”
Il turismo deve avere una vocazione internazionale, ci mancherebbe ma forse anche un inglese a questo punto potrebbe precipitare nel disagio di chi cerca il nesso tra la Baronia e la Groenlandia, che in inglese si chiama proprio Greenland.
Nella rete dell’angolofonia estrema sono finiti anche progetti nati con le migliori intenzioni. Al punto di domandarsi per quale motivo la lodevole proposta di rispristinare l’ecosistema degli oliveti di Sennariolo, aggrediti dal grande incendio del Montiferru del 2021, si debba chiamare “Hope for Sennariolo”. All’iniziativa collabora l’ex pilota Nico Rosberg e la sua scuderia di auto elettrice “Extreme E” ma quando l’apprezzabile progetto dei tecnici di MedSea (a proposito) è finito in tv, il sottopancia del telegiornale che riportava la notizia lo indicava come “Speranza per Sennariolo”.
Meno “cool”, ma più “direct”. O No?
E, sempre Medsea, propone il progetto E-mooring, utilissimo “sistema informatizzato per realizzare e gestire campi ormeggio ecocompatibili” nelle Aree marine di tutta Italia. Perfetto per tutti quelli che sanno che “mooring” significa ormeggio. Un po’ meno per chi non ne ha idea, a meno che gli ormeggi non siano destinati solo ai sudditi di Sua Maestà.
Ma, a dire il vero, l’inglese viene imposto già da anni, come dimostra la bella mostra fotografica dedicata alle miniere del Sulcis e nominata “Lands of mines”. Un titolo non proprio immediato anche per chi è vissuto a contatto con le miniere. Un capitolo a parte meritano le crasi come la Zaffart di Villanovafranca, che in versione tricolore sarebbe il Festival dello zafferano, e la GuilceRace, gara di Ocr, sigla di “Obstacle Race”, ovvero “corsa ad ostacoli”. Si fa quasi più fatica a capire cosa sia che a partecipare.
Sul cibo, anzi sul “food”, sul vino, anzi sul “wine”, e sulla birra, anzi sulla “beer”, non basterebbe un’enciclopedia in cui spiccherebbero le versioni “street”, “truck”, “motor”, “fest”, che poi alla fine, per fortuna, vogliono dire tutte la stessa cosa: si mangia e si beve. Stessa storia sui festival musicali, dove tra i meno conosciuti spicca il “Billèllera music festival” di Sorso, piccolo capolavoro autoironico che non ha resistito ad un minimo di richiamo british.
C’è poi chi resiste, per fortuna, e mantiene inalterati i nomi originali. Su certe cose c’è il veto, storico e di fede. E così la “Discesa dei candelieri” non diventerà “Descent of the candlesticks” o la “Corsa degli scalzi” non si tradurrà in “The barefoot race”. Altre, invece, sono a rischio ma fino a quando “Cortes apertas” non verrà propagandata come “Open courtyards”, o “Saboris Antigus” non verrà venduta come “Ancient Flavors”, la speranza di non inglesizzare proprio tutto resterà in vita.