Pietro Castellitto: «Il mio film “Enea” fa discutere perché parla della complessità della vita»
Il regista al Cityplex Moderno di Sassari per presentare il suo film
Presentato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, “Enea” ha diviso la critica. «Non è passato inosservato, questo è importante» sottolinea il regista e attore Pietro Castellitto, impegnato dall’uscita del lungometraggio nelle sale in un tour promozionale che ieri lo ha portato a Sassari per una tripla proiezione al Cityplex Moderno. Nel film interpreta un giovane della Roma bene che con l’amico Valentino condivide l’attività di spaccio e la passione per le feste. Ma droga e malavita sono soltanto l’ombra di una storia che parla soprattutto d’altro.
Pietro, accompagnando il film in giro per l’Italia cosa le sta dando il rapporto con il pubblico?
«Vedo che fa discutere e mi fa piacere, i significati di un’opera si concretizzano in quella corrispondenza che si instaura tra film e spettatori. Sono poi molto contento di vedere in sala un pubblico eterogeneo, spero che “Enea” possa piacere a chiunque. Non a tutti, ovviamente. Intendo dire sia in grado di colpire persone di qualsiasi classe sociale e che fanno lavoro diversi. La scommessa era questa: fare un film vitale, non ideologico».
Un film difficilmente classificabile in un genere. A lei come piace definirlo?
«Un film che vuole mettere in scena la complessità della vita, dove nulla è bianco e nero ma ci sono le sfumature. In fondo la vita mescola i generi, è tragica e fa ridere. E poi è un film sul desidero di sentirsi vivo di un ragazzo, pronto per questo anche a uscire dal cerchio delle regole. È mosso da uno slancio romantico puro che lo porta a frequentare anche ambienti corrotti».
Lei vive il suo lavoro con lo stesso spirito romantico?
«Mi piace quello che faccio. Il tempo passato a scrivere, a pensare a un film rinunciando ad altri, spinge a sacrificarti per quel progetto e vuoi che diventi un ricordo degno della tua vita a livello personale».
A livello visivo “Enea” presenta sequenze di grande impatto. Come si muove da regista nella trasformazione in immagini delle idee presenti in sceneggiatura?
«Al di là delle idee registiche che mi vengono mentre scrivo, la bussola con la quale mi oriento è sempre quella delle emozioni e del simbolismo. Cerco quindi uno stile che sia in grado di amplificare il potenziale di ciascun personaggio e allora ne viene fuori una regia diciamo massimalista che può risultare ambiziosa, ma non vuole mai essere presuntuosa. Con una messa in scena inerente al racconto, non slegata».
Anche la musica ha in questo un suo ruolo e nella colonna sonora ha un peso importante la canzone “Spiagge” di Renato Zero. A che punto ha preso piede l’idea del suo utilizzo?
«Nelle prime fasi di scrittura. Ho cominciato a storpiarla, poteva essere il modo giusto in cui il personaggio di Valentino confidava alla madre la sua vita segreta. Poi ha preso un posto sempre più importante. È una canzone nostalgica e la nostalgia è centrale in questo film».
Tra gli interpreti ci sono anche suo fratello minore Cesare e suo padre Sergio che tutti conoscono. Com’è stato relazionarsi con loro sul set?
«Con mio fratello mi sono divertito molto e credo sia stato importante per lui, recitare ti mette in gioco. Con mio padre è stato facile, ma inizialmente non volevo partecipasse. Alla fine dopo un paio di mesi in cui facevo provini ho cambiato idea e l’ho chiamato, di notte, per sapere se era libero. Ha detto di sì mandandomi a quel paese».