Daniela Poggi: «Racconto la morte interiore della madre di un femminicida»
L’attrice in scena a Cagliari e Palau con Mariella Nava contro la violenza di genere
Attrice, scrittrice, conduttrice televisiva, anche una parentesi da assessora comunale. Tutto sempre con un occhio al sociale, all’attualità. Ed è un tema attualissimo quello che anche questa volta Daniela Poggi porta in scena. Oggi a Cagliari (al Teatro Adriano, XXII edizione di divagAzioni) e domani a Palau (al Teatro Montiggia) l’attrice ligure sarà protagonista insieme alla cantautrice Mariella Nava di “Figlio, non sei più Giglio”, uno spettacolo-concerto in cui si affronta la violenza di genere, ma in maniera diversa rispetto al solito, perché Maria, il personaggio interpretato da Daniela Poggi, è la madre di un uomo autore di violenza su una donna.
Come nasce lo spettacolo?
«Volevo portare in scena la violenza sulle donne ma non espressa nel solito modo, come la donna violentata, stuprata, uccisa, e quindi la violenza fisica diretta sulla figura femminile. Volevo raccontare quella morte nell’anima, nel cuore della madre di un uomo colpevole, per provare a capire cosa prova quando scopre che, a distanza di qualche anno, quel figlio che ha voluto, amato, educato ha ucciso un’altra donna. Mi sono messa empaticamente nel dolore di questa figura materna».
E qui entra in gioco l’autrice del testo, Stefania Porrino.
«L’ho chiamata e insieme abbiamo iniziato a lavorare sul testo. A lei è venuta in mente l’idea di fare partire il percorso dalla famosa lauda “Il pianto della Madonna” di Jacopone da Todi. E infatti ha scelto di dare a questa donna il nome di Maria. Ci siamo confrontate tanto, anche con Mariella Nava. Do il merito a Stefania, che è quella che ha fatto il lavoro più grande, di avere messo tante idee, tante emozioni in un testo».
Il suo personaggio si sente in qualche modo responsabile della violenza del figlio?
«Maria non ha il coraggio di incontrare il figlio in carcere, non se la sente. Decide di scrivergli una lettera, dove ritorna sui suoi ricordi, sul suo vissuto. In questa lettera si interfaccia con questa figura maschile che non è presente, ma è lì. Maria si pone tante domande, tanti dubbi. Si chiede dove ha sbagliato, cosa non ha capito, perché non si è accorta del cambiamento del figlio. Ripensa anche a quando aveva torturato una lucertola. Si chiede se ha sbagliato e gli dice: uccidendo lei, hai ucciso me, tua madre».
Qual è il suo pensiero in merito ai tanti femminicidi che vengono commessi a cadenza quasi quotidiana?
«Quando accadono queste tragedie siamo tutti responsabili. La società intera è responsabile, perché quasi sempre si volta dall’altra parte. Oggi viviamo un’epoca in cui non siamo più capaci di guardare l’altro negli occhi. È una società disumanizzata, individualizzata. Nello spettacolo abbiamo inserito più volte questa frase: guardalo negli occhi. Io pongo domande e Mariella risponde, spesso in musica: guardarlo negli occhi, osservalo bene».
Capita che i genitori, anche di fronte alla peggiore azione dei propri figli, siano portati a giustificarli, se non ad assolverli. Il suo personaggio ha mai questa tentazione?
«Il figlio le chiede di perdonarlo, lei è incapace di farlo davanti a questo abominio, a questa efferatezza. Io dico che cristianamente il perdono deve esserci sempre, ma da cristiana mi pongo questa domanda: siamo davvero capaci di perdonare profondamente e veramente? O forse solo Dio ne è capace?».
In questi mesi l’Italia è rimasta sconvolta dall’assassinio di Giulia Cecchettin. Il padre Gino ha detto che abbraccerebbe i genitori di Filippo Turetta, il suo ex fidanzato che l’ha uccisa. Cosa pensa delle sue parole?
«È una disperazione congiunta, un dramma congiunto. Non c’è differenza. Sono entrambi genitori e sono entrambi morti con i loro figli: una fisicamente e l’altro dietro le sbarre. Il dolore del padre di Giulia è identico a quello del padre e della madre dell’assassino».
Lo spettacolo è prodotto dalla Bottega Poggi, da lei creata. Quali sono gli obiettivi?
«È una società di produzione che vuole seminare cultura, conoscenza, un po’ di luce in questa società ottenebrata. È nata proprio per costruire progetti che altri non mi avrebbero mai fatto fare e che invece autonomamente e grazie a persone che supportano le nostre produzioni portiamo in scena. In questo caso dobbiamo ringraziare la Global thinking foundation, una associazione di donne che opera nel settore della violenza economica e finanziaria nei confronti delle donne».