La Nuova Sardegna

Cinema

Cento anni di lotte dei lavoratori in Italia nel nuovo documentario di Peter Marcias

di Giacomo Mameli
Cento anni di lotte dei lavoratori in Italia nel nuovo documentario di Peter Marcias

Il film, di 70 minuti, è stato presentato alla stampa. Sabato 1° giugno "Uomini in marcia" la prima sarda a Cagliari

29 maggio 2024
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Dopo il debutto dello scorso ottobre in anteprima mondiale alla festa del cinema di Roma, sabato (Cinema Odissea, Cagliari) arriva sugli schermi “Uomini in marcia”, documentario di Peter Marcias presentato ai giornalisti.

In settanta minuti il regista sardo propone un'opera pedagogica sui fondamentali della vita: la dignità e il diritto al lavoro. Il lavoro in Italia e nel mondo, epicentro il Sulcis-Iglesiente delle lotte scolpite trent'anni fa nella poesia di Manlio Massole “Lezione di storia” sui minatori uccisi a Buggerru “il giorno del Signore”, domenica 4 settembre 1904.

Prossime presentazioni il 2 giugno a Sassari (Moderno) e a Oristano (Ariston), il 3 giugno Uta e Iglesias, poi Roma e Milano.

Dice il regista: «Vedendo vecchi filmati mi son chiesto: cosa è successo prima di quell'evento? Cosa sta accadendo ora? Così ho coinvolto lavoratori, sindacalisti, politici, giuristi, registi, cantanti e ho raccontato il mondo del lavoro in Italia».

Storia di popolo, quasi kolossal griffato con due interviste straordinarie: al regista Ken Loach (narratore alla Erodoto della workingclass) e Laurent Cantet. E ancora. I ministri del Lavoro Giacomo Brodolini e Gino Giugni: nei primi ribollenti anni Sessanta del secolo scorso, col sindacato, avevano dato all'Italia le tavole della legge, lo Statuto dei lavoratori. Scorrono testimonianze femminili e maschili, raccolte dal vivo e dagli archivi dell'Umanitaria di Carbonia, con la voce narrante-filo rosso del giurista Gianni Loy.

Marcias – che firma la sua ventiduesima opera dopo “Il tempo delle donne” con Paola Cortellesi - propone un'enciclopedia visiva che immortala un secolo di tormentata società sarda, meridionale e italiana. Sardegna certo, ma anche Priolo e Porto Marghera, Manfredonia e Chiasso, Otranto e Ciriè, Fiat e Montedison, morti sul lavoro, fabbriche inquinate, Laura Conti che invocava, già allora, di “cambiare il nostro modo di produrre”. Perché a far morire non è l'industria ma l'industria gestita male, organizzata contro chi ci lavora senza tutelarne la salute.

Tornano in campo volti anneriti di minatori, mani di ferro, gallerie, gabbie-ascensore, dirigenti, tecnici e sindacalisti che erano sangue, ossa e cervello della modernizzazione che si materializzava in una Sardegna desiderosa di uscire dal medioevo. Sergio Usai, politicamente più rosso del fuoco, andava “dai compagni di Ottana, Macchiareddu e Porto Torres” a dire – come ci ripropone oggi Marcias – che «la povertà non deve farci vergognare perché la possiamo sconfiggere con la nostra intelligenza». Bruno Saba, di scuola più moderata ma sempre di visione larga, insisteva sulla «consapevolezza del lavoro culturale che si concretizza con le manifestazioni operaie che aggregano studenti, impiegati, università, chiesa». Riecheggiava l'analisi del sindacalista nuorese Salvatore Nioi ( “il Di Vittorio sardo” l'aveva definito Luciano Lama) che – con l'industria, con la fabbrica diffusa dal Golfo degli Angeli all'Asinara – vedeva «la solitudine angosciante del pastore e del contadino superata dalla vivacità del dibattito plurale nei consigli di fabbrica». Sentirete le analisi di due politici (Antonello Cabras e Tore Cherchi) che quegli anni di lotta hanno vissuto e patito – tra i pochi - in prima linea tra Regione e Parlamento, ammettendo che “purtroppo non abbiamo provato a fare da noi”. Era il sogno di una vera autonomia nella scelta di un futuro produttivo capace di creare sviluppo. Prodotto da Agnese Ricchi e Mario Mazzarotto in collaborazione con Rai Cinema e Fondazione di Sardegna - Peter Marcias invoca, con Gianni Loy, uno «Stato dove tutti possano lavorare dignitosamente». Loach è pessimista: «Non abbiamo il lusso di vincere». Cantet: «Ho l'impressione che la crisi oggi sia ancora più forte di quindici anni fa».
 

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