Marco De Paolis: «Così sono diventato il cacciatore di nazisti»
Il procuratore generale militare a Palau il 29 agosto, presenterà il libro sulle stragi nella seconda guerra mondiale
Ad andare “A caccia di nazisti”, come recita il titolo del suo libro, è stato lui in prima persona. Marco De Paolis, procuratore generale militare alla Corte militare d’Appello di Roma, dal 2002 al 2018 ha diretto indagini su dossier che sembravano perduti, ha tirato fuori nomi e cognomi dei nazisti che si sono macchiati delle stragi più gravi in Italia. Cinquecento procedimenti penali per crimini di guerra, rinvio a giudizio per 79 nazisti, 57 condanne all’ergastolo, più di mille testimoni ascoltati.
I numeri della grande caccia condotta da De Paolis, che racconterà giovedì 29 agosto a Palau, in piazza Popoli d’Europa, in dialogo con la docente di Storia contemporanea Liliosa Azara e il giornalista condirettore di Agi Paolo Borrometi.
Il libro riassume la sua attività dal 2002 al 2018.
«È stato un lungo periodo dedicato a una pagina importante della nostra storia contemporanea, a vicende dal 1943 al 1945 della guerra di Liberazione, che è il fondamento del nostro stato democratico. Ecco, la Sardegna è l’unica regione a non essere stata toccata da stragi che da altre parti hanno segnato intere comunità».
Qual è stato l’impulso a riaprire casi dimenticati per decine di anni?
«Non avrei mai immaginato di occuparmi di cose viste nei film o ascoltate dai racconti di mio padre. La vicenda giudiziaria nasce da una grande anomalia che è stata l’insabbiamento, avvenuto nel 1960 ad opera del procuratore generale dell’epoca, dei fascicoli riguardanti crimini di guerra durante la seconda guerra mondiale per mano dei nazisti in Italia. A seguito del grande clamore del processo al capitano ss Erich Priebke nel 1992, vennero alla luce due anni dopo 695 fascicoli che erano stati appunto occultati (la cronaca lo ribattezzò come “l’Armadio della vergogna”, ndr)».
Lei comincia l’attività di indagine nel 2002 e arriva a far celebrare 17 processi che portano a 57 condanne per ergastolo. Quali ostacoli ha incontrato in questo percorso?
«Tra i fascicoli che mi ritrovai subito tra le mani, c’erano quelli che trattavano le stragi più sanguinose e rilevanti commesse dal ’43 al ’45. Parlo di Marzabotto, Monte Sole... ed è stata una surreale corsa contro il tempo. Il prima possibile occorreva riaprire vicende rimaste sepolte per tanti anni e di cui c’erano pochi elementi».
De Paolis, lei ha interrogato più di cento nazisti. Mi dice com’è stato ascoltarli, guardarli negli occhi?
«Nei primi Duemila erano ancora in vita molti tra ufficiali e sotto ufficiali, tra gli 80 e i 90 anni di età. È stata un’esperienza, prima di tutto umana, particolare. Sia ascoltare i carnefici che le vittime, i racconti di queste spaventose carneficine fatte da sopravvissuti che all’epoca erano adolescenti o bambini. Per quanto riguarda i nazisti, intanto parliamo di persone che non erano criminali comuni ma mossi da una precisa ideologia. C’era in generale grande rabbia e rimpianto di non aver realizzato il sogno per cui erano stati formati. Nel libro cito un maresciallo che a un certo punto, mentre mi insultava ripetutamente, scopre l’avambraccio dove aveva ancora tatuate matricola e croce uncinata e diceva “Secondo lei posso darle le teste dei miei camerati?”».
Si è occupato di stragi da libri di storia, quali l’hanno segnata di più?
«Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Cefalonia. Per Marzabotto non c’era mai stato un processo, quindi la soddisfazione è stata dare un volto ai carnefici, con 10 condanne all’ergastolo e una comunità che ha trovato una piccola consolazione».
Roma, 23 marzo 1944. L’azione della Resistenza romana di via Rasella contro i soldati tedeschi porta poi all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Come ha reagito quando lo scorso anno il presidente del senato Ignazio La Russa non parlò di Resistenza ma di attacco a “una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS”?
«Innanzitutto la fucilazione degli ostaggi delle Fosse Ardeatine non fu una rappresaglia ma un atto criminale commesso dai soldati tedeschi, come sottolineato dalla sentenza del tribunale supremo militare del 1952. È importante l’uso della terminologia, i tedeschi intendevano sovvertire l’ordine legale mandando il messaggio: l’azione dei patrioti era un attentato, e la reazione illegittima una rappresaglia. Niente di più sbagliato. Per quanto riguarda La Russa, parliamo della seconda carica dello Stato, non voglio pensare ci fosse della malizia ma magari una sorta di disinformazione».
Oggi con il conflitto russo-ucraino e a Gaza usiamo spesso la locuzione crimini di guerra.
«Il problema dei crimini di guerra è che sono subordinati alla politica, gli Stati purtroppo tendono a interpretare le norme internazionali in funzione dei propri interessi».