Sigfrido Ranucci: «In Italia c’è sempre meno libertà di stampa, ma anche meno gente che si informa»
Il volto di Report torna in Sardegna, al festival Sanluri Legge, per presentare il suo libro La scelta
L’Italia e l’informazione libera, un legame sempre più difficile. Ogni anno che passa il nostro Paese perde posizioni quando si parla di libertà di stampa. Nella classifica globale stilata da Reporters Sans Frontieres l’Italia è al 49esimo posto, tre gradini più in basso di 12 mesi fa. Il risultato peggiore dell’Europa occidentale. Un dato che non stupisce Sigfrido Ranucci, volto e anima di Report, simbolo del giornalismo d’inchiesta, che sabato alle 20 ritorna in Sardegna, al festival Sanluri Legge, dove, insieme a Francesca Figus, presenterà il suo libro, “La scelta”, edito da Bompiani.
Ranucci, in Italia la libertà di stampa è sempre meno.
«Perché in questo anno sono successe tante cose. È emerso che dei giornalisti sono stati spiati. Ci sono sempre più politici che denunciano giornalisti. In Italia c’è il record di giornalisti minacciati: 516. Non è affatto un belvedere. Senza contare la concentrazione di imprenditori che governano l’informazione, le leggi bavaglio che portano verso l’oblio di Stato, l’equo compenso che non viene quasi mai applicato, la legge sulle liti temerarie mai approvata...».
Quando lei ha iniziato la situazione era molto diversa?
«La politica ha sempre odiato l’inchiesta, l’ha sempre vista con sospetto. I politici vorrebbero che la stampa fosse la vetrina della politica anziché la finestra sulla politica. In più in questi anni c’è stata una grande disaffezione delle persone verso l’informazione. Non so quante siano le persone che si informano, che non vanno oltre la news che appare sul telefonino».
Oggi i giornalisti sono meno coraggiosi o più assuefatti a un sistema che li imbriglia?
«Ci sono una serie di concause. Sicuramente c’è un po’ di adeguamento, ma anche la fatica a stare sempre a combattere, la debolezza in cui si trovano tra ricatti sul posto di lavoro o sulla possibilità di fare carriera. E poi sono venute a mancare figure come Andrea Purgatori, un esempio per tutti noi. Andrea era uno di quei giornalisti temuti e rispettati dal potere, perché aveva memoria e capacità di leggere un determinato fatto».
La minaccia di azioni legali è un deterrente per fare inchieste o scrivere cose scomode?
«Editori coraggiosi che hanno la forza di reggere alle minacce di querela sono pochissimi. Ormai la buttano sul civile e ti tengono a bagnomaria per 10 anni. E così più facile trovare un giudice che trovi un danno».
Come è stata questa stagione di Report?
«Faticosissima. Spero che l’azienda ne tenga conto e ci premi. Aspetto l’uscita dei palinsesti». Il suo rapporto con la Rai? «È un rapporto in cui ti senti più sopportato che supportato. Ma questo succede con qualsiasi editore ormai, a meno che non sia un editore illuminato che capisce che sei una risorsa e non un problema».
Un anno fa ha girato tutta la Sardegna. Cosa le ha lasciato quella esperienza?
«È stata straordinaria. Ho avvertito sulla pelle l’affetto dei sardi. La Sardegna è un bel fan club di Report. E spesso ce ne occupiamo. Avevo promesso l’inchiesta sull’eolico e l’ho fatta. Abbiamo fatto anche una inchiesta sul progetto di rivitalizzazione del Sulcis, che trasformi il territorio in una fonte di energia pulita senza impattare sull’ambiente e recuperando i lavoratori».
Quella di non mollare è stata ugualmente una scelta?
«Il pubblico ha mostrato un grandissimo affetto nei miei confronti. Di Report ha sempre apprezzato la coerenza e la scelta di rimanere fedeli a se stessi e coraggiosi è stato un incentivo ad andare avanti».