Youssou N’Dour: «Ognuno di noi può essere fonte di luce»
In Sardegna per il concerto a Sassari all'interno del festival Abbabula
Bastano pochissimi secondi per riconoscere “7 seconds”, la canzone che ha reso celebre Youssou N’Dour in tutto il mondo. Ma c’è soprattutto una carriera, che conta quasi mezzo secolo, fatta di musiche – al plurale – e di voglia di mandare dei messaggi. Youssou N’Dour lo ha fatto sinora da artista e da politico, e non intende fermarsi. Domenica 20 luglio è sul palco di piazza Università, a Sassari, insieme alla sua band, i Super Étoile de Dakar, per il festival Abbabula delle Ragazze terribili.
Lei è tornato con un nuovo album, “Éclairer le monde”, che porta con sé un messaggio importante e sonorità che oggi sentiamo in tanti stili musicali diversi, com’è nato il disco e cosa significa per lei portarlo in giro per i palchi?
«“Éclairer le monde” è nato da un profondo bisogno di trasmettere un messaggio di luce, speranza e responsabilità. Il mondo sta attraversando momenti bui, ma credo che ognuno di noi possa essere una fonte di luce. Musicalmente, ho voluto mescolare le radici africane con sonorità attuali, perché la nostra cultura è viva, dialoga con il mondo. Portare questo album sul palco è molto più di un semplice concerto: è una condivisione, una conversazione con il pubblico, un modo per dire che la musica può illuminare le coscienze».
Da poco si è definito “ambasciatore dell’Africa”, mi dà un suo sguardo sul continente, in mezzo a un mondo in continuo cambiamento?
«Non ho scelto io questo ruolo, è l’Africa che me lo ha affidato. Mi sento onorato, ma anche responsabile. L’Africa è un continente giovane, pieno di energia, di innovazione, di voci che vogliono farsi sentire. Ma si trova anche ad affrontare numerose sfide: politiche, climatiche, sociali. In un mondo che cambia così in fretta, credo che l’Africa abbia molto da offrire in termini di valori umani, creatività, spiritualità. Il mio ruolo è portare avanti questa voce con fierezza e verità».
Oggi che momento sta vivendo la world music?
«La world music sta vivendo un momento paradossale. Da un lato, è più accessibile che mai grazie al digitale: i giovani di tutto il mondo possono scoprire suoni che arrivano da altrove. Ma dall’altro lato, a volte viene rinchiusa in un’etichetta, come se fosse “a parte”. Per me, la musica del mondo è la musica del cuore, quella che attraversa i confini. Deve essere riconosciuta per la sua ricchezza, per il suo potere di unire i popoli, e non soltanto come una curiosità esotica».
Se prova a fermarsi un attimo e guardare tutta la sua carriera, quali sono stati i momenti cruciali? Quelli dove ha capito la forza espressiva e comunicativa della musica?
«Ce ne sono diversi. Il mio primo viaggio fuori dall’Africa, i primi concerti in Europa, la collaborazione con artisti come Peter Gabriel o Neneh Cherry. Sono stati momenti in cui ho capito che la musica poteva parlare a tutti, senza bisogno di traduzioni. Ma i momenti più intensi sono spesso i più semplici: una canzone cantata in un villaggio, uno sguardo tra il pubblico, un’emozione condivisa. È lì che ho capito che la musica non è solo un’arte, è un legame. Esprime ciò che le sole parole non riescono a dire».