Fabri Fibra ad Alghero: «Quando scrivo racconto le mie ferite»
Il rapper sarà in concerto giovedì 7 agosto all’anfiteatro “Ivan Graziani”, reduce dall’album “Mentre Los Angeles brucia”
Ci sono tutti i rapper e trapper, e poi c’è Fabri Fibra. Ormai è un dato di fatto. Poco più di un mese fa ha pubblicato l’album “Mentre Los Angeles brucia”, un lavoro che trasuda cultura hip hop, con rime che al solito guardano al sociale ma stavolta, forse più di altre, parlano di introspezione. Non è una novità per Fibra, che piace (e continua a piacere in una logica senza età e target) proprio perché mette se stesso nelle canzoni. Ormai, a quasi cinquant’anni – il rapper di Senigallia ne ha 48 – ha attraversato tutte le ere del rap in Italia. E i suoi live, in questo tour estivo, assomigliano a un grande karaoke. Nel senso che lui potrebbe anche rivolgere il microfono verso il pubblico durante tutta la scaletta. Tutti cantano tutti i brani. Sarà così anche giovedì 7 agosto ad Alghero, quando si esibirà all’anfiteatro “Ivan Graziani”. Evento organizzato da Shining production in collaborazione con Roble Factory, Comune di Alghero e Fondazione Alghero, in occasione dell’Alguer summer festival.
Un album introspettivo, si diceva, che in queste settimane è trainato dal singolo “Che gusto c’è”, che vede la partecipazione di Tredici Pietro. E qui non manca il solito sguardo lucido sui paradossi della società. In una quartina rappa: «Vogliamo tutti una vita di lusso / Conoscerne il gusto, fra', il buongusto / Tasso fisso, mutui, rate / È la vita che ci prende a fucilate».
«Tutto quello che mi colpisce finisce irrimediabilmente nella mia musica», questa è la risposta di Fibra alla domanda su quali siano i fatti che lo hanno ispirato per “Mentre Los Angeles brucia”. Così il rapper alla Nuova: «È successo anche in questo disco, a partire dalla title track, nel racconto del rapporto con mio padre, nelle riflessioni su un figlio, nella storia di due ragazzi che si sono tolti la vita. La musica, la mia, è un modo sia per cercare leggerezza ma anche per raccontare quello che vedo, dai social che stanno distruggendo il mondo alla violenza dilagante». C’è una nuova strada che le penne del rap stanno percorrendo: mettere al centro il racconto personale e l’introspezione. Per Fibra è sempre stata una costante: «Sono cresciuto ascoltando brani di artisti che raccontavano le cose più dolorose delle loro vite, le droghe, la sofferenza, le famiglie disfunzionali e mi sono sempre sentito grato del fatto che quegli artisti che amavo così tanto mi credessero degno di ascoltare cose così personali – dice lui –. È stato lo stesso per me nel raccontare ferite profonde della mia vita. Scrivere “Mio Padre”, ad esempio, mi ha fatto anche capire che era un modo per consentire a chi mi ascolta e segue da tempo di capire meglio alcune parti di me e della mia musica».
Ecco, musicalmente, le nuove canzoni di Fabri Fibra riescono a rimanere aggrappate ai tempi, ma hanno ancora un tocco personale: «Parto sempre da una serie di appunti, pensieri, riflessioni che raccolgo nel tempo. Poi arriva il momento in cui tutto questo si intreccia con le strumentali. Quando una base incontra le parole giuste, succede qualcosa: il beat accende un tema, una direzione, e allora il pezzo prende forma. Per questo motivo chiedo sempre ai produttori con cui lavoro – come è successo in “Mentre Los Angeles brucia” con Zef, Mars, Pietrino, Bias, Fritu – di mandarmi cartelle di beat, anche molto diverse tra loro. Le ascolto più volte, ci ritorno, ci rifletto. E a un certo punto capisco qual è quella che mi spinge davvero a dire qualcosa, a trasformare una riflessione in canzone».