La Nuova Sardegna

Cagliari

Mano tesa

Suor Anna: diamo rifugio a chi fugge dai maltrattamenti


	Suor Anna col suo striscione alla manifestazione contro la violenza sulle donne 
Suor Anna col suo striscione alla manifestazione contro la violenza sulle donne 

A Selargius il nido accogliente per le vittime di angherie

25 novembre 2023
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Cagliari Alla testa del corteo che ha attraversato il centro storico di Cagliari, suor Anna Cogoni regge un lungo striscione con la scritta «Giù le mani dalle donne!». Per questa religiosa Figlia della Carità, lo slogan di un giorno di fine novembre è da 35 anni stile di vita, programma di lavoro, carisma vincenziano. Nel 1988 alle 2 del mattino di un giorno d’estate alla porta dell’Istituto cagliaritano “San Giuseppe” bussa una donna in fuga. «Scappava dal marito violento, da anni di angherie e umiliazioni. Sopportate in silenzio – dice suor Anna – fino a quando il più piccolo dei figli non trova il lavoro. Voleva liberarsi e ribellarsi a 20 anni di persecuzioni. Questo grido d’aiuto è stato l’input per proiettare le suore in una avventura caritativa moderna, ritagliata sui bisogni attuali della società, una nuova povertà».

Alcune centinaia di persone, ma soprattutto donne - anche giovanissime , bambine e adolescenti - hanno attraversato le vie dello shopping sventolando fazzoletti, sul cappotto una coccarda rosso sangue. «Siamo dalla parte di chi subisce violenza e vogliamo contribuire a creare una nuova mentalità e cultura del rispetto per la donna. L’uomo deve essere consapevole che al suo fianco c’è un bene prezioso, da amare e rispettare nella sua libertà», aggiunge la suora, che dagli anni Novanta a oggi ha accolto, assistito e accompagnato in un processo di recupero e sostegno, un migliaio di donne. Lo sguardo di suor Anna passa dalle mamme ai bambini. «Nella nostra casa di accoglienza – dicela religiosa – li accogliamo insieme. La violenza domestica tra adulti segna profondamente la psiche infantile. Testimoni e spettatori di percosse i bambin che a volte, si comportano nei confronti della madre con la stessa aggressività del padre-padrone».

Nella casa rifugio di Selargius prevalgono le donne sarde. Non mancano le straniere, per anni segregate in casa da un compagno-aguzzino. «Abbiamo ospitato una donna che nei 10 anni precedenti aveva vissuto segregata dal marito, un sardo che era andato a prenderla in Africa. Non poteva uscire di casa. Quando è arrivata da noi non sapeva parlare la nostra lingua, il poco italiano lo ha appreso soltanto grazie ai figli. Un giorno ha detto basta alla sua prigionia». Più a rischio la convivenza di un’altra straniera. Anche per lei lunga segregazione tra le mura domestiche. Finché una passeggiata rischia di trasformarsi in tragedia: il compagno la colpisce negli occhi, colpevoli di aver guardato la gente che incrociava per strada, uomini compresi.

«La dipendenza economica e il non lavoro – dice suor Anna Cogoni – rallentano la fuga della donna dal partner violento, sono la tortura quotidiana che a volte dura vent’anni. Per questo la nostra casa costruisce con queste vittime percorsi di ricostruzione professionale – molte diventano operatrici sanitarie – grazie all’autonomia finanziaria si facilita anche il reinserimento sociale».

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