Giallo di Portisco, i funerali del 20enne: «Morto sul lavoro»
Giovanni Marchionni, trovato privo di vita a bordo di uno yacht ormeggiato in banchina
Olbia «Non si può morire a 20 anni, non si può morire per lavoro, non si può morire così». Non c’è Ferragosto a Bacoli, il paese campano di Giovanni Marchionni, morto in circostanze ancora misteriose la scorsa settimana nella cabina di un motoscafo ormeggiato nella Marina di Portisco. L’altro ieri, 15 agosto, nel centro campano si sono svolti i funerali del giovane con un migliaio di persone presenti alla cerimonia, in prima fila la famiglia, gli amici più stretti con t-shirt rigorosamente nera, il sindaco Josi Gerardo Della Ragione. La voce di quest’ultimo si è levata alta per chiedere chiarezza e verità sulle cause della morte del suo giovane concittadino.
Infatti, a Bacoli nessuno crede alla tesi che il Giovanni Marchionni fosse in vacanza in Costa Smeralda. Al contrario, lavorava a bordo del motoscafo dove la mattina dell’8 agosto è stato trovato privo di vita. Lo stesso sindaco ieri ha anche annunciato che il Comune di Bacoli si costituirà parte civile in un processo per ora solo eventuale. Intanto, il giallo di Portisco è destinato a restare tale ancora per qualche tempo, visto che neppure l’autopsia ha chiarito le cause della morte di Marchionni. Serviranno ulteriori esami istologici e occorre il tempo per farli.
La Procura di Tempio conduce le indagini, ma al momento si valutano tutte le ipotesi (dal malore alla morte a causa di esalazioni chimiche da una batteria o da apparecchi di bordo) e nessuno è iscritto nel registro degli indagati. «Un giovane che amava vivere – è il messaggio del sindaco –, Un lavoratore che voleva inseguire il suo sogno. Lavorare in mare, proprio come stava facendo in Sardegna. Così una marea di ragazzi, di mamme, di papà, di nonni, sono accorsi in chiesa per l’ultimo abbraccio. La bara bianca, la foto, fasci di fiori ovunque. L’altare pieno di parroci e diaconi. La parrocchia di San Gioacchino gremita, dentro e fuori. Applausi e lacrime. Tantissime. Un dolore composto, ma netto, lacerante. E poi i palloncini fatti volare in cielo, il suono a lutto delle barche e delle navi che giungeva dal mare. E i clacson dei motorini, le maglie nere di tantissimi amici he un dolore così atroce non lo avevano ancora vissuto mai. Il silenzio. I silenzi. Per un saluto lunghissimo, che nessuno voleva finisse mai».
«Al funerale – aggiunge il sindaco di Bacoli – abbiamo assistito alla sofferenza di un popolo che chiede verità, giustizia. Per Giovanni e per tutti i figli di questa terra che hanno il diritto di una società più giusta, dove la parola “lavoro” faccia rima con “sicurezza”, con “diritti”. Un mondo in cui, se ti infortuni sul posto di lavoro, non devi fingerti un turista che era lì per caso. In una realtà dove se muori su un grande yacht, perché stavi lavorando lì, nessuno insinui che eri a bordo solo per una vacanza in Costa Smeralda. O che assumevi sostanze stupefacenti. O che hai avuto un malore improvviso. Dove nessuno si nasconda dinanzi alle proprie responsabilità. A partire dai datori di lavoro, in nero. O dove nessuno pensi di essere più forte della verità. La verità. Qu ella che cercheremo senza sosta. Come un martello pneumatico. Perché non si può restare anonimi in eterno. Proprio per questo saremo parte civile al processo in tribunale, al fianco della mamma, del papà, delle sorelle, del fratello, della nonna, degli amici. È una promessa».