La Nuova Sardegna

Oristano

Tre settimane in ospedale, ma ora padre Tore è salvo

di Valentina Atzeni
Tre settimane in ospedale, ma ora padre Tore è salvo

Cabras, il missionario si è ammalato gravemente ed è stato ricoverato a Como Il racconto dei familiari: «Una liberazione quando abbiamo sentito la sua voce»

11 aprile 2020
3 MINUTI DI LETTURA





CABRAS. Solo due giorni fa, dopo tre settimane di assoluto silenzio, padre Salvatore Marongiu ha telefonato a mamma Chiara e con voce flebile le ha detto di stare bene. In paese, la preoccupazione per la salute dell’amato sacerdote era tanta. Ma finalmente si può tirare un sospiro di sollievo: padre Tore, come lo chiamano tutti, è guarito dal Covid19. Ricoverato il 19 marzo nell’ospedale Sant’Anna di Como, il sacerdote, che vive nel centro di spiritualità di Tavernerio, un piccolo comune lombardo con meno di seimila abitanti, stava male da giorni. «Quel giovedì ho ricevuto una telefonata dai missionari saveriani – dice la sorella Maria Antonietta –, che mi hanno detto, pesando attentamente le parole, che era stato ricoverato perché respirava ‘come quando si hanno delle preoccupazioni’. Ho avuto la sensazione che non volessero farmi agitare – continua –, e dopo aver sentito nominare il coronavirus ho capito che probabilmente aveva avuto una crisi respiratoria».

Padre Tore, 57 anni, è molto amato. La sua vocazione è nata all’età di undici anni, quando iniziò gli studi nell’Istituto saveriano di Macomer, per poi dedicare la sua vita alle missioni nel resto del mondo. L’Amazzonia, poi il Congo sono stati per anni la sua seconda casa. «Siamo sette fratelli molto uniti – racconta ancora la sorella Maria Antonietta –. La nostra preoccupazione più grande, dopo la salute di Tore, riguardava nostra madre». Difficile comunicare a una donna anziana che il proprio figlio è in pericolo di vita. «Dopo alcuni giorni, abbiamo deciso di recarci da lei e dirle la verità. Avevo deciso che non avrei pianto, per darle coraggio, ma trattenere le lacrime è stato impossibile».

Le informazioni sullo stato di salute arrivavano puntuali alla famiglia, giorno dopo giorno. «Penso sia comprensibile che ci chiedessimo se ci stessero dicessero tutta la verità – ammette Maria Antonietta –. La distanza non è facile da sopportare, sapevamo che la situazione era critica e temevamo il peggio, ma non ci siamo mai arresi alla speranza». Cresciuta a sua volta avendo come punto di riferimento la fede, Maria Antonietta, che insegna religione alle scuole medie, spera che nei momenti di solitudine suo fratello possa avere trovato conforto nella preghiera: «Non so se fosse sempre cosciente. Non è mai stato intubato, ma era costantemente ventilato grazie a un respiratore artificiale. Spero che la fede l’abbia aiutato a sopportare la continua sensazione di apnea».

La speranza di poterlo riabbracciare è arrivata dopo più di venti giorni. Il peggio era passato. «Non appena l’hanno dimesso ho avuto modo di sentire per un istante la sua voce – racconta –. Alla mia richiesta sul suo stato di salute non ha risposto col solito “Sicuramente sto meglio di te”, ma sono sicura ritroverà presto il senso dell’umorismo». Ora il sacerdote dovrà restare in isolamento nella sua stanza per altri quindici giorni, ricevendo le visite del personale medico. Il tampone ha però ormai dato esito negativo e le forze perse potranno essere recuperate pian piano.

In Primo Piano
Stagione 2024

Turisti più attenti: è boom di prenotazioni anticipate

di Luigi Soriga
Le nostre iniziative