La Nuova Sardegna

Oristano

Il medico del Camerun: «Qui a Oristano ho visto il volto di una sanità lacerata»

Michela Cuccu
Il medico del Camerun: «Qui a Oristano ho visto il volto di una sanità lacerata»

Parla Andi Nganso, uno dei medici “in affitto” che hanno lavorato di notte al Pronto Soccorso

09 novembre 2021
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ORISTANO. «Ad Oristano ho visto il volto della lacerazione sociosanitaria del Paese. I servizi che piano piano iniziano a mancare. I bisogni di assistenza territoriali dei pazienti si stanno modificando. La commistione tra povertà e salute sta presentando qua e là i segni importante di debolezza del sistema di welfare del Paese. E questo si vede tanto in periferia». Lucida, razionale, libera da enfasi di sorta, a parte un accenno di gratitudine quando descrive la terra dove è stato ospite, anche se per lavoro: «Oristano, il capoluogo di una provincia deliziosa, riservata, intima». A leggere il post scritto sui social da Andi Nganso, medico “in affitto”, o come lui preferisce definirsi “itinerante”, che per 20 giorni ha lavorato al Pronto soccorso del San Martino, sembra di aver sotto gli occhi la relazione di una commissione d’inchiesta. Il dottor Nganso però non è solo un medico precario, ma un attivista che da anni si batte contro ogni genere di discriminazione. Laurea in Medicina conseguita all’università di Varese, 34 anni, originario del Camerun è in Italia dal 2006. Rientrato nella Penisola, racconta da testimone diretto a sua esperienza nella sanità pubblica oristanese, dove i medici stanno diventando una rarità. «Ad Oristano ho ascoltato le parole preziose di una collega, che mi fece capire che la sua amata comunità aveva bisogno di un maggior impegno in ambito sociosanitario per risolvere i tanti problemi di accesso impropri al Pronto soccorso», scrive riportando le parole della sua collega: «Le persone non sanno a chi rivolgersi quando sono a casa. Vengono per una carezza, una parola di conforto; delle prestazioni da territorio». Il suo è un punto di osservazione “privilegiato”, di chi, all’interno di un Pronto soccorso da anni ormai in affanno, è stato testimone diretto: « Ho dato un contributo alla squadra del pronto soccorso di questo ospedale, così centrale per il benessere dei cittadini del centro della Sardegna, meno importanti agli occhi di chi non le dedica tutte le carezze che le servirebbero per resistere al vento delle carenze sociosanitari di questo periodo cupo». Poi l’approccio con l’intolleranza neppure troppo velata: «Durante una notte di lavoro, ho scoperto il volto della marginalità, del trauma del razzismo e dell’esclusione, visto dalla prospettiva della periferia del Paese. È entrato Dario in PS e durante il colloquio clinico disse: "nessuno può capire cosa vuol dire essere me, qui. È dura. Dario – scrive – si trova ad Aristanis dopo l’adozione in età adolescenziale: non si teneva in piedi e non riusciva a trattenere la sua rabbia. Mi sono chiesto cosa volesse dire essere l’unica persona nera nelle stanze di Oristano, non di Milano, di Oristano, di Cabras, di Ploaghe. Mi sono promesso di pensarci».



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