La Nuova Sardegna

Un affare spericolato ha messo Cicu nei guai

di Mauro Lissia
 Un affare spericolato ha messo Cicu nei guai

Nelle carte dei magistrati si evidenzia il ruolo dell’europarlamentare Voleva vendere i terreni in fretta e aveva chiesto l’aiuto di Cappellacci

25 ottobre 2014
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CAGLIARI. Il 5 agosto del 2003 Rino o’ pecorone sbarca all’aeroporto di Elmas con una borsa gonfia di banconote: contiene 400 mila euro in contanti. Gli aspiranti acquirenti campani della Tu.ri.cost - la società di Paolo Cau di cui sono soci occulti Salvatore Cicu e Luciano Taccori - non hanno scelto un corriere a caso: quel nomignolo di taglio leggermente dispregiativo corrisponde infatti al nome di Gennaro Chierchia, esponente di punta del clan camorristico D’Alessandro di Castellammare di Stabia, ucciso il 28 ottobre 2008 in un agguato messo a segno mentre addentava un babà in una pasticceria di Gragnano. È certo - a leggere l’ordinanza firmata dal gip Giuseppe Pintori - che o’ pecorone ha consegnato i soldi, prima tranche dell’operazione finanziaria che doveva coprire il trasferimento della società proprietaria dei terreni di Campulongu, a Villasimius, quelli del resort S’Incantu. Così come gli accertamenti condotti dal Gico della Guardia di Finanza per la Dda di Cagliari dimostrano che nell’atto di compravendita firmato il 28 aprile 2003 nello studio del notaio cagliaritano Roberto Onano il venditore Cau e gli acquirenti Luciano Passariello e Salvatore Venturino è stata indicata una cifra nettamente inferiore al corrispettivo stabilito: 639 mila euro anzichè un milione e 33 mila euro. Quella portata da Chierchia a Cagliari sarebbe dunque la caparra, destinata ad essere suddivisa in parti uguali fra i tre soci della Tu.ri.cost. Ed è qui, in questo passaggio critico dell’operazione, che secondo il pm Emanuele Secci e il giudice Pintori entra in gioco Ugo Cappellacci (che non è indagato). Era stato Cicu, amico di vecchia data, a chiedergli di seguire la faccenda nel ruolo di fiduciario. Lui, all’epoca sottosegretario alla Difesa, non aveva tempo per impegnarsi a fondo in un’operazione così articolata, che peraltro doveva servirgli a tappare un buco aperto sul proprio conto corrente proprio a causa dell’investimento in Tu.ri.cost: 155 mila euro. Un’esposizione sulla quale Cicu rientrerà subito dopo la chiusura dell’affare. Cappellacci lo aiuta, vede le carte e fa qualcosa di più: apre in tutta fretta, con una telefonata alla banca, una cassetta di sicurezza nella filiale Bnl di largo Carlo Felice, a Cagliari. La cointesta a Paolo Cau. È il 6 agosto 2003, risulta quindi una concomitanza quasi perfetta con l’arrivo di Chierchia e del malloppo da 400 mila euro. Impossibile sapere che cosa venne custodito in quella cassetta. Sentito il 12 novembre 2011 dal pm Secci, l’ex governatore spiega che doveva servire soltanto a custodire una scrittura privata che regolava i rapporti, ma quel documento non venne mai consegnato. Su questo punto il giudice Pintori mette nero su bianco una valutazione poco lusinghiera per l’ex presidente della Regione: «La versione del Cappellacci circa la destinazione della cassetta di sicurezza è del tutto incongrua - è scritto nell’ordinanza di sequestro - in quanto non appare indispensabile custodire in una cassetta di sicurezza un esemplare unico di una scrittura privata regolante rapporti privati tra le parti, che ben potevano essere documentati da due copie in possesso di ciascuna delle parti». L’ipotesi conseguente è che nella cassetta siano finiti i 400 mila euro in contanti. D’altronde - osserva il giudice - Cappellacci era presente quando gli acquirenti campani, legati a filo doppio coi clan camorristici, incontrarono i sardi per poi consegnare la somma in nero.

In questo andirivieni di denaro, personaggi della malavita, contratti e scritture private Salvatore Cicu ha detto di non aver svolto alcun ruolo («cosa c’entro coi casalesi?»). Però è certo - così scrive il giudice - che i soldi li prende, così come è sicuro il suo interesse a chiudere rapidamente l’operazione, al punto da chiedere aiuto a un commercialista blasonato come Cappellacci.

Il resto della vicenda, così come ricostruita dal pm Secci e dal gip Pintori, segue un percorso piuttosto tortuoso ma di non difficile comprensione. C’è Paolo Cau che «forza» un’asta per accaparrarsi terreni edificabili a Campulongu. Dietro di lui ci sono Taccori e Cicu, che mettono mano al portafogli per inseguire un affare immobiliare che appare allettante. Quando però il finanziamento di quattro milioni e 700 mila euro legato alla legge 488 non arriva, Cau fa un passo indietro e i due soci rimasti in ballo devono correre ai ripari. Prima si rivolgono al notissimo avvocato d’affari Peppetto Del Rio, rappresentante Bastogi in Sardegna. Che fa i conti, stabilisce la convenienza dell’operazione e poi si ritira per il «no» della Bastogi. Successivamente valutano l’offerta del clan campano, senza badare più di tanto al passato giudiziario degli interlocutori: un semplice controllo su Google sarebbe bastato a rivelare la provenienza degli imprenditori, vicini ai casalesi e al clan D’Alessandro. L’affare va chiuso e infatti si chiude, per una cifra che il Gico indica in un milione e 33 mila euro, pagati in parte in biglietti di banca. La nuova Tu.ri.cost finisce sotto l’amministrazione di Bartolomeo Piccolo, immobiliarista coinvolto in innumerevoli guai giudiziari. Coi soldi ricavati dalla vendita il sottosegretario del governo Berlusconi ripiana il conto corrente e il 12 febbraio 2004 compra dall’Argos immobiliare l’appartamento di via Pitzolo che avantieri gli è stato messo sotto sequestro giudiziario su disposizione del gip. Per mettere insieme i 686 mila euro necessari all’acquisto, Cicu accende anche un mutuo alla banca San Paolo-Imi. Guarda caso quell’immobile, che diventerà lo studio cagliaritano del politico quartese, era stato acquistato appena il giorno prima che Cicu firmasse l’atto nello studio notarile dalla Bastogi, attraverso l’avvocato Del Rio. Gli altri ex soci della Tu.ri.cost invece acquistano titoli, immobili a Torre dei Corsari e altre proprietà che il Gico ha sequestrato nell’operazione di venerdì mattina.

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