La Nuova Sardegna

Morgana mi disse: «Papà portami a casa»

di Giampiero Cocco
Morgana mi disse: «Papà portami a casa»

La drammatica testimonianza di Enzo Giagoni che il 18 novembre 2013 ha visto morire la figlia di 2 anni e la moglie Patrizia

19 novembre 2016
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TEMPIO. Se al dolore si potesse dare un volto, Enzo Giagoni lo rappresenterebbe, da tre anni a questa parte, in ogni istante. L’ex poliziotto di 50 anni, ieri, terzo anniversario della scomparsa della compagna Patrizia Corona e della figlioletta Morgana, di due anni, scomparse nel fiume di fango e acqua che devastò Olbia il 18 novembre del 2013, ha dignitosamente reso testimonianza di quei momenti drammatici davanti al tribunale di Tempio. «Quando l’auto, diventata ormai ingovernabile, si inabissava dentro il canale Patrizia mi disse: “Enzo, ho paura”, mentre mia figlia sussurrava “papà, portami a casa”». Sono le ultime parole che l’ex poliziotto – riformato dal servizio attivo per “stress da trauma psicologico” –, ricorda dei suoi due amori. Una donna e una bimba che, ormai in preda alla disperazione per non averle potute salvare, voleva raggiungere lasciandosi trasportare dalla furia delle acqua, un gesto di autoannientamento scongiurato grazie al provvidenziale intervento di Domenico Spanu, uno degli abitanti di via Belgio che lo afferrò per il maglione e lo legò all’inferriata di recinzione della sua casa, in attesa che l’inferno di pioggia, acqua e fango passasse.

Enzo Giagoni, che ha scelto di non costituirsi parte civile contro nessuno, ieri è comparso in aula per raccontare la sua immensa tragedia chiamato dall’avvocato Giampaolo Murrighile, che sostiene la parte civile per la madre e nonna di Patrizia e della piccola Morgana, e dei fratelli della donna.

«Con Patrizia e Morgana ci eravamo appena trasferiti di casa, in Via Veronese – ha raccontato ieri l’ex poliziotto, premiato dall’amministrazione comunale per la sua incessante opera di volontariato – da una frazione vicina a Olbia. Quel giorno (il 18 novembre 2013), insieme a Patrizia siano andati nella scuola materna di via Cesti per ritirare la piccola. Erano da poco passate le 17, e dopo aver lasciato la casa una amica di mia moglie, che ci aveva prestato l’auto, mi sono diretto verso via Veronese, ma ho sbagliato direzione e mi sono trovato, immerso nel buio con la pioggia che non lasciava vedere a pochi metri dall’auto, in una zona a me sconosciuta. Poi la macchina ha perso aderenza e galleggiando, si è infilata dentro una massa d’acqua e fango. Ho cercato di aprire lo sportello di Patrizia, senza riuscirci, quindi ho dato una spallata alla mia portiera e ho afferrato la bimba, certo che la madre non l’avrebbe mai lasciata. Un istante dopo un’onda mi ha sommerso. Mi sono tuffato più volte nel fango, alla ricerca dei miei familiari, inutilmente. Dopo aver cercato aiuto, bussando al cancello dei miei amici, che non hanno sentito, sono ritornato verso la strada, ormai diventata un fiume, e mi volevo gettare dentro il canale quando qualcuno mi ha afferrato per le spalle, legandomi ad una inferriata. Papà, portami a casa, mi disse la mia bambina». L’udienza è stata aggiornata al 12 dicembre.

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