La Nuova Sardegna

IL FEMMINICIDIO DEVASTA FIGLI E SOCIETÀ

diANTONIETTA MAZZETTE

Infatti, tutti i rapporti sulla criminalità in Italia e nel’Isola sottolineano l’importanza crescente degli omicidi che colpiscono le donne nel nostro paese, nonostante, dagli inizi degli anni ’90 in...

22 settembre 2018
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Infatti, tutti i rapporti sulla criminalità in Italia e nel’Isola sottolineano l’importanza crescente degli omicidi che colpiscono le donne nel nostro paese, nonostante, dagli inizi degli anni ’90 in poi, si sia assistito a un calo del tasso complessivo. Il che significa che si ricorre meno a questa violenza estrema quando riguarda gli uomini, mentre non diminuisce nei confronti delle donne. Ossia, la percentuale di donne sul totale delle persone uccise cresce con la diminuzione del tasso di omicidi. Questo significa anche che di “Dina Dore” e di bambini costretti a crescere senza la loro madre ve ne sono troppi e questo, a mio avviso, dovrebbe essere considerato un problema sociale che dovrebbe allarmare tutti e non solo le donne.

Come nel caso di Dina Dore, appena trentasettenne, le vittime sono in prevalenza persone di età inferiore ai 40 anni e, come nel caso di Francesco Rocca, gli autori sono molto spesso partner o ex partner. A ciò andrebbe aggiunto che le donne sono più soggette degli uomini alla violenza omicida anche da parte di altri famigliari.

Tanto i dati sulla distribuzione sociale quanto quelli sulla distribuzione geografica sugli omicidi di donne evidenziano che non ci sono confini o barriere. Si tratta di un fenomeno diffuso, senza distinzioni di classe e territoriali.

Ma dietro le statistiche ci sono nomi e storie di vite interrotte, come quella dell’insegnante algherese Orsola Serra, uccisa il 23 ottobre del 2011 e il cui autore è stato condannato all’ergastolo; oppure, quella di Marta Deligia, una ragazza di 27 anni di Villacidro, prima perseguitata dal suo ex partner e poi uccisa il 23 settembre 2013. E potrei continuare a lungo con questo terribile elenco.

Nomi e storie che mi inducono ad affermare che si tratta di un’emergenza sociale che ormai, anche a livello di linguaggio comune, viene definita “femminicidio”, seppure tale definizione non sia acquisita unanimemente. Ad esempio, Nereide Rudas nella sua ultima opera spiega perché sarebbe più proprio parlare di “muliericidio” e come la Sardegna non sia mai stata immune da questa specifica forma di violenza. Al di là delle differenze terminologiche, ciò che è comune a questi fatti è che la violenza non si esaurisce con la morte delle donne, ma si protrae nel tempo sui figli della vittima, come nel caso di Dina Dore. I singoli individui e la complessiva struttura sociale si dovrebbero far carico di questo problema, costruendo diversi livelli di protezione, creando un clima sociale accogliente e sereno, non ignorando e intervenendo con prontezza ai primi segni di fragilità. Sono consapevole che si tratta di una questione complessa e delicata, ma, per non dimenticare Dina Dore e tutte le altre donne, dei loro figli dovremmo occuparci direttamente e indirettamente.



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