La Nuova Sardegna

Beppe Pisanu: «Politica immobile nell'isola sul Pnrr, così perdiamo le risorse»

di Alessandro Pirina
Beppe Pisanu: «Politica immobile nell'isola sul Pnrr, così perdiamo le risorse»

L’ex ministro: «Occasione unica per la Sardegna, ma regna un silenzio inquietante»

05 dicembre 2021
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SASSARI. La politica attiva non è più nei suoi programmi, ma il suo lungo cursus honorum gli impedisce di tenersi lontano da quella che è la gestione della cosa pubblica. Beppe Pisanu lo fa da osservatore semplice, anche se dal curriculum importante. E proprio le recenti vicende della sanità isolana, con lo spostamento della sede della nuova Ares da Sassari a Cagliari, non hanno lasciato insensibile l’ex ministro dell’Interno, che ancora una volta tuona contro una politica regionale sempre più centralizzata che dimentica il resto dei territori isolani.

Senatore Pisanu, stupito dello scippo della sede dell’ex Ats?

«No, non mi ha sorpreso. Mi avrebbe stupito il trasloco inverso, da Cagliari a Sassari, di un qualche ente o centro di decisione regionale. Un bel dispetto a quell’opaco sistema di potere che da parecchi anni ha preso piede in Sardegna. E su questo vorrei richiamare l’attenzione».

Da dove partiamo?

«Se la ricorda l’uscita di Marcello Fois sulla Nuova per il trasferimento del famoso progetto del Betile da Cagliari a Porto Torres? E si ricorda le risposte elusive e accomodanti che giunsero dalla capitale e dintorni? Le lezioncine di architettura impartite all’intellettuale nuorese quasi fosse uno sprovveduto, non ancora sceso dal pero, anzi dal perastro barbaricino? Ma la proposta di Fois conteneva una pungente domanda politica: se non il Betile che cosa? Che ce ne facciamo dell’area deindustrializzata di Porto Torres e del dimenticato triangolo Sassari-Alghero-Porto Torres e delle aree non meno fortunate di Ottana e del Sulcis Iglesiente?».

Lei ha una risposta?

«Sono domande impegnative che esigono risposte puntuali e ancora prima una chiara visione del futuro della Sardegna. Domande pressanti perché sono in arrivo gli investimenti straordinari del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Noi corriamo il rischio di perderli se non ci prepariamo a riceverli o quanto meno di ridurne l’impatto se non li coordiniamo con gli interventi del bilancio ordinario della Regione e degli altri fondi europei. Si tratta di cifre enormi, l’equivalente - per intenderci - di alcuni Piani di rinascita. Una occasione irripetibile per arrestare il nostro pauroso declino demografico, economico e civile e per rimettere in marcia la Sardegna. Eppure su questi temi regna il silenzio inquietante della classe politica regionale nonostante le sollecitazioni ripetute dei sindaci e delle forze sociali che giustamente chiedono trasparenza e partecipazione».

Quali sono le colpe della classe politica che governa la Regione?

«La classe politica regionale di fronte al Pnrr mi sembra disorientata come l’agrimensore di Kafka davanti al castello. Non vede la strada per raggiungerlo, il telefono non funziona e coloro che lo abitano sembrano avere un diversa razionalità. Ho l’impressione - e lo dico con dispiacere - che i gruppi politici non riescano più ad alzare lo sguardo dalle faccende quotidiane alle cose che contano veramente. Senza fare di ogni erba un fascio percepisco uno spaesamento, una carenza di idee, una certa inclinazione a subire i fatti, piuttosto che a governarli. Ben altro fu l’atteggiamento della Regione in vista del primo Piano di rinascita».

Nostalgia della politica che fu?

«Non di certo, conosco quel passato con le sue luci e le sue ombre e cerco soltanto di trarne qualche buona lezione per il futuro. Churchill insegna che “tutti i segreti dell’arte di governare si trovano nella storia”. Bene, il primo segreto di allora fu l’etica della responsabilità dei partiti autonomisti quando, pur nelle asprezze della guerra fredda, seppero procedere uniti verso il principale obiettivo della rinascita: quello di uno sviluppo equilibrato che facesse leva sulla Sardegna centrale per legarla saldamente ai poli storici di Cagliari e Sassari e discese da lì un vasto movimento popolare per la “programmazione dal basso” che la Regione cercò di alimentare in ogni possibile modo. Promosse perfino la nascita di una rivista culturale aperta a tutte le correnti di pensiero. Fu intitolata al Bogino, l’unico ministro sabaudo agli Affari di Sardegna che puntò seriamene sulle riforme e che tuttavia passò nella memoria dei cagliaritani come sinonimo di boia: su Buginu chi ti sconchidi».

Da quel Piano di rinascita, però, sono passati ormai quasi 60 anni. Dove è finita l’idea dello sviluppo equilibrato?

«Ha retto per una trentina di anni e poi è venuta meno con la crisi generale della politica, dei grandi partiti autonomisti e dei loro programmi e purtroppo per noi gli spazi lasciati dalla politica - come sempre accade - se li sono presi il mercato e la burocrazia regionale, i quali sono andati a nozze, seguendo per loro natura la logica del più forte e producendo diseguaglianze. Volenti o nolenti, si è formato un nuovo sistema di potere nel quale la componente burocratico-mercatista ha buon gioco sulla componete politica».

Ma il predominio della burocrazia e del mercato sulla politica cosa comporta concretamente?

«Le indico tre dati di fatto. Innanzitutto, l’area metropolitana di Cagliari è di gran lunga la più attrattiva della Sardegna per ogni genere di investimento. Punto due: l’alta burocrazia regionale è targata Cagliari. Punto tre: nell’ultimo ventennio Cagliari è cresciuta molto meglio del resto dell’isola e non sempre per merito proprio. Guardi alla scandalosa ripartizione delle risorse per la sanità e più in generale a come defluisce la spesa pubblica complessiva e vedrà quali ingiustizie si compiono sotto i nostri occhi. Ormai è come se si fosse aperto un solco economico-sociale tra l’area metropolitana di Cagliari e il resto della Sardegna. Continuando di questo passo diventerebbe un fossato».

Quali rimedi per evitare che la Sardegna subisca l’effetto Londra sull’Inghilterra?

«Innanzitutto, colmare il solco e rimettere in marcia la Sardegna senza per questo insidiare le potenzialità e anche il primato della capitale. Con il Pnrr abbiamo i mezzi e l’occasione propizia. Occorrono idee, senso di giustizia e volontà politiche all’altezza di un compito così impegnativo».

Se lei avesse un ruolo di primo piano in politica cosa farebbe?

«Scommetterei ancora sullo sviluppo equilibrato e a questo fine proporrei un nuovo patto tra le istituzioni regionali, i sindaci e le forze sociali, garantendo a tutti partecipazione e trasparenza nell’utilizzo delle enormi risorse a disposizione. Comunque non tocca a me ma al Consiglio e alla giunta regionali rompere il silenzio sul Pnrr, uscire dall’inedia e chiamare a raccolta le energie sane della Sardegna. Altrimenti rischieremo di perdere almeno in parte quelle risorse straordinarie. Per nostra impreparazione, carenza di progetti o mancato rispetto dei tempi di attuazione e il “lasciar fare” come prima al mercato e alla burocrazia peggiorerebbe le cose, suscitando la collera e il distacco dalle istituzioni regionali dei sindaci inascoltati e dei ceti sociali più colpiti dalla pandemia. In altri termini, se per colpa nostra perdiamo l’occasione storica del Pnrr fallisce anche l’autonomia regionale. Non possiamo permettercelo».

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