Il caso

«Casco in testa e mani legate: una vita in trappola inaccettabile»

di Andrea Sini
La maschera e un'immagine di Bruno pubblicate sul profilo di Irene Testa
La maschera e un'immagine di Bruno pubblicate sul profilo di Irene Testa

La denuncia della Garante per la Sardegna delle persone private della libertà: "Affetto da picacismo, vive così da 16 anni"

15 aprile 2023
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Sassari «Se questo è un uomo. Sedici anni con le mani legate e una maschera come quella di Hannibal Lecter. Non è un criminale ma un malato. Va cambiato subito il suo piano “terapeutico”». La denuncia è firmata da Irene Testa, Garante delle persone private della libertà personale in Sardegna; la “terapia” sembra più una tortura, e rappresenta di fatto il fallimento – se non della medicina in toto – di certo del sistema sanitario nazionale.

Il caso La storia è terrificante ma non è affatto una scoperta recente: un uomo ricoverato nella struttura Aias di Cortoghiana perché affetto da picacismo, una patologia che lo porta a ingerire qualsiasi cosa gli capiti davanti, vive da 16 anni in una condizione da incubo. Durante il giorno è costretto a indossare un caschetto protettivo con una grata sul viso e trascorre le giornate con le mani “imbavagliate”. L’obiettivo è chiaro: evitare che si faccia del male ingerendo oggetti potenzialmente letali. Le metodologie utilizzate sono però come minimo discutibili.

La denuncia Ciò che chiede a gran voce la Garante è proprio la revisione di quello che più che un piano terapeutico moderno somiglia a una cura medievale. Il caso era stato portato all’attenzione di media e istituzioni alcuni anni fa dalla presidentessa dell’Unasam, Gisella Trincas Maglione, ed era finito sul tavolo del ministro della Salute e del presidente del Consiglio regionale, oltre che in Procura. Ma senza risultati apprezzabili. «Non mi rassegno – dice ora Irene Testa –, non posso accettare che una persona malata venga sottoposta a un trattamento che appare più vicino al concetto di tortura che a quello di cura. Non è però tempo dell’indignazione ma della concreta e rapida azione di tutti gli attori istituzionali che possano dare un contributo a cambiare questa situazione».

Possibili soluzioni Sullo sfondo c’è la classica situazione insufficienza di fondi e personale. La decisione di obbligare l’uomo a indossare, durante le ore diurne, un caschetto da kickboxing modificato (che viene tolto di notte) e una sorta di bendaggio artigianale attorno alle mani non è ovviamente frutto di una sadico disegno ma è una necessità dettata dal rischio che il paziente diventi pericoloso per la propria stessa incolumità: affetto da altre gravi patologie e da un grave ritardo mentale, incapace di qualsiasi comunicazione verbale, l’uomo non è autosufficiente e andrebbe sorvegliato 24 ore su 24. Come spiegato in passato dai responsabili della struttura nella quale è ricoverato, questo non è però possibile e il ricorso a una “terapia” di questo tipo è giustificato dalla necessità di garantire l’incolumità di una persona che già più volte, proprio a causa delle conseguenze del picacismo, è stato ricoverato e sottoposto a interventi chirurgici d’urgenza. Una situazione drammatica e apparentemente senza via di uscita. A meno che non sia possibile il ricovero in una struttura strutturata in modo da potersi occupare di un caso simile senza dover ricorrere ai rimedi estremi denunciati da Irene Testa.

Cosa è il picacismo. «Il picacismo è un disturbo del comportamento alimentare, che si manifesta nei bambini al di sopra dei 2 anni, attraverso l’ingestione di sostanze non alimentari e non nutritive, come carta, o terra. Va trattato in maniera precoce e la diagnosi è possibile quando il disturbo si presenta per almeno un mese di seguito». Alessandra Nivoli, docente di psichiatria all’università di Sassari, direttrice della Clinica psichiatrica e responsabile del Centro di vittimologia dell’Aou di Sassari, spiega le dinamiche comportamentali che si innescano nei pazienti che presentano questo disturbo.

«Innanzitutto la diagnosi non è così semplice. Spesso possiamo riscontrare il picacismo nell’ambito di un disturbo mentale più grave, ad esempio di tipo ossessivo-compulsivo: il paziente è ossessionato da alcuni rituali e non può controllarsi se non mettendo in atto un comportamento, che in questo caso è l’ingestione di sostanze o oggetti. Nel momento in cui serve trattare il “pica” in sé, l’unico trattamento con dati di letteratura positivi è una terapia di tipo cognitivo-comportamentale, ovvero associare uno stimoli negativo all’ingestione di quegli elementi. Quando il disturbo si manifesta all’interno di un altro disturbo psichiatrico, come la schizofrenia, allora il trattamento deve riguardare il disturbo principale e sarà ragionevolmente di tipo farmacologico. Esiste però un 30% di pazienti affetti da schizofrenia che risultano essere resistenti ai farmaci. Potrebbe essere questo il caso dell’episodio in esame, in cui il soggetto è di fatto schiavo del suo sintomo». (a.si.)  

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