La Nuova Sardegna

Terapia intensiva pediatrica

Sassari, Antonio Dessanti: «La soluzione c’è, serve la volontà»

di Andrea Sini
Sassari, Antonio Dessanti: «La soluzione c’è, serve la volontà»

«Un unico posto letto attrezzato risolverebbe i problemi»

06 novembre 2023
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Sassari «In un ospedale come quello di Sassari, dove già esiste un reparto di terapia intensiva che funziona bene, l’investimento per realizzare un’area destinata alla rianimazione pediatrica sarebbe vicino allo zero. Credo, per esemplificare al massimo, che si pagherebbe con la spesa di due voli salva vita e avrebbe ricadute enormi dal punto di vista dell’assistenza».

Il professor Antonio Dessanti, per vent’anni direttore della Chirurgia pediatrica dell’Aou di Sassari, a oltre un decennio dalla pensione ha ancora le idee chiare su cosa si potrebbe fare per risolvere un problema che esiste da sempre. «Per molto tempo ho scritto lettere, nelle quali spiegavo la situazione e proponevo soluzioni, ma non è successo nulla – racconta –. Ma il mio approccio resta propositivo. E dico questo: per i numeri e per le necessità che sulla base dell’esperienza possiamo prevedere, basterebbe creare un unico posto letto di terapia intensiva pediatrica, che sarebbe quasi sempre vuoto ma comunque a disposizione per le emergenze: avere quel posto letto, con le apparecchiature adatte ai bambini e il personale formato per la sua gestione, permetterebbe di fare tutto. Un reparto intero non avrebbe senso, perché per il numero di nascite e per la casistica non lavorerebbe mai a regime e non ci sarebbero la giusta condivisione e la crescita delle competenze».

Da dove parte questo ragionamento? «Dalle cifre e dalla realtà delle cose, oltre che dal buon senso. «Quando sono arrivato a Sassari, nel 1991 – racconta Dessanti –, mi sono reso conto che c’era una buona terapia intensiva prenatale, e c’è ancora. Ma serve solo i neonati, ovvero i piccoli pazienti da zero a un mese di vita. Dal mese in poi i bambini non hanno una rianimazione dedicata: quindi per un’emergenza i bambini vengono presi in carico, ma per gli interventi programmati, ad esempio un intervento chirurgico complesso, nella necessità di tenere il paziente in terapia intensiva almeno per una notte, si apre il corto circuito. Cioè si decide di portare il bambino fuori dalla Sardegna: io provenivo da Brescia, dove avevo lavorato in chirurgia pediatrica per 10 anni, e il vecchio direttore mi concedeva di portare là i piccoli pazienti e operarli. Tutto questo con costi notevoli per la sanità sarda e per le stesse famiglie, sottoposte in aggiunta a enormi stress e disagi. Io avevo contatti con Brescia, altrimenti si va a Roma al Bambin Gesù. Questa è una pratica consolidata e accettata, come se la Sardegna sia terzo mondo e non possa avere a disposizione uno spazio in terapia intensiva per i bambini».

Quante volte all’anno accade che dagli ospedali sardi partano viaggi salva-vita diretti ai nosocomi della Penisola? «Direi 20-30 volte l’anno – spiega il professor Dessanti – , ma c’è un ulteriore punto che va chiarito: io eseguivo circa 600 interventi all’anno, e tra questi 20-30 erano appunti quelli nei quali c’era necessità della terapia intensiva. Ma non esistono regole precise, spesso solo al momento dell’intervento medici e anestesisti valutano se sia necessaria la rianimazione, perché a volte non lo è. Quindi succede questo: se io so di poter contare su un posto in terapia intensiva pediatrica posso eseguire con serenità l’intervento a Sassari, e poi valutare. In assenza di questo, nel dubbio sarò costretto necessariamente a eseguire l’intervento in Continente. E questo dubbio fa sì che per motivi facilmente intuibili si andrà nella Penisola per non correre inutili rischi. Ripeto, non abbiamo i numeri di Roma e del Bambin Gesù e non serve un reparto intero dedicato. Ci sono già una buona terapia intensiva prenatale e una terapia intensiva per adulti; bisognerebbe far ripartire in maniera decisa la Chirurgia pediatrica, che al momento da quanto mi risulta è senza primario. La migliore soluzione è dunque creare un’area pediatrica dentro la Rianimazione degli adulti. Basta un letto in una piccola area del reparto, letteralmente un angolo, col respiratore e strumentazioni per bambini, e la formazione specifica di parte del personale che già opera lì. Avere questa certezza consentirebbe al sistema sanitario di risparmiare tanti soldi, ma soprattutto sarebbe un grande passo di civiltà per la regione intera».


 

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