La Nuova Sardegna

L’inchiesta

Mostro di Firenze, i tre fratelli Vinci e la pistola: le piste partono dall’isola

di Silvia Sanna
Mostro di Firenze, i tre fratelli Vinci e la pistola: le piste partono dall’isola

L’arma fu acquistata a Villacidro. Dna, il genetista Ricci: comparati i profili di zii e cugini

4 MINUTI DI LETTURA





Sassari Tre fratelli partiti da Villacidro e una pistola che a Villacidro fu acquistata e che non venne mai ritrovata. Con quella pistola, una Beretta calibro 22, sono stati commessi gli 8 duplici omicidi attribuiti al mostro (o ai mostri di Firenze). Sedici morti, tra il 1968 e il 1985, ammazzati con un’arma arrivata dalla Sardegna e probabilmente utilizzata da più mani. È la pista sarda, quella che ruota attorno alla famiglia Vinci, esplorata più volte, mai accantonata e ora, in seguito a un test del Dna, ritornata in primo piano. Perché c’è un legame di sangue tra i Vinci e Natalino Mele, il bimbo sopravvissuto al primo delitto commesso dal mostro: Natalino, 6 anni e mezzo all’epoca, è figlio di Giovanni Vinci, il maggiore dei tre fratelli, arrivato in Toscana nel 1952 e poi seguito da Salvatore e Francesco.

Lo dice il test del Dna commissionato dalla Procura di Firenze ed eseguito dal genetista Ugo Ricci. Natalino fu risparmiato dal killer che uccise sua madre Barbara Locci e l’amante Antonio Lo Bianco la notte del 21 agosto 1968. L’assassino sapeva che Natalino non era figlio di Stefano Mele, marito di Barbara Locci, ma di uno dei tre fratelli Vinci. Ognuno dei quali aveva avuto una relazione con la donna, in alcune fasi della storia anche contemporaneamente.

Il test del Dna L’accertamento è avvenuto in maniera indiretta. Spiega il genetista Ugo Ricci, lo stesso che ha individuato il Dna di Andrea Sempio sotto le unghie di Chiara Poggi nel caso Garlasco: «Abbiamo comparato il Dna di Natalino Mele con quello di un figlio di Giovanni Vinci e di Salvatore e con il profilo genetico ottenuto dalla riesumazione, eseguita alcuni anni fa, del corpo di Francesco Vinci». Impossibile un accertamento diretto, perché Giovanni Vinci è morto da molti anni e il suo corpo è stato cremato. Mentre del fratello Salvatore si sono perse da tempo le tracce: emigrato in Spagna nei primi anni 90, nessuno sa se sia ancora vivo. L’esito del test non lascia spazio a dubbi: il padre biologico di Natalino Mele è Giovanni Vinci, il primo a intrecciare una relazione (extraconiugale per entrambi) con Barbara Locci. E che grazie a lui conobbe in seguito gli altri componenti della famiglia diventando amante di tutti e tre.

Giovanni Vinci Il padre di Natalino Mele è quello meno noto alle cronache. Nato nel 1933, si sa che lasciò Villacidro a 19 anni e si trasferì a Lastra di Signa. Qui si sposò ed ebbe due figli. Ai tempi del delitto Locci-Lo Bianco, nel 1968, Giovanni Vinci non venne neppure interrogato. L’uomo venne convocato dai pm solo nel 1982, quando il Mostro aveva già ucciso molte altre volte e quando i suoi fratelli erano stati già indagati e, nel caso di Francesco, accusati e rilasciati. Fu una lettera anonima arrivata in Procura a riaccendere i riflettori sulla famiglia Vinci. Giovanni parlò agli inquirenti dei suoi rapporti con Barbara Locci e il marito Stefano Mele. Disse di avere conosciuto prima lui quando ancora non era sposato. E che poi gli aveva presentato sua moglie Barbara, insieme al resto della famiglia. Qualche mese dopo lui e Barbara divennero amanti e la relazione finì intorno alla primavera del 1961, più o meno quando la donna rimase incinta del suo primo e unico figlio, Natalino. Nello stesso periodo, Barbara si era già legata anche ai fratelli Salvatore e Francesco. Relazioni che erano sulla bocca di tutti, in particolare quella con Francesco, perché i due non si nascondevano.

Francesco e Salvatore Vinci I due fratelli sono stati coinvolti a più riprese nelle indagini sul mostro di Firenze. Entrambi furono considerati serial killer e poi prosciolti da ogni accusa. Ma i loro nomi sono sempre rimasti nei faldoni dell’inchiesta anche dopo l’archiviazione definitiva nel 1989. Il sospetto degli inquirenti è che la pistola Beretta calibro 22 l’avessero portata loro da Villacidro e che dopo il primo delitto, se l’avessero passata tra loro o ceduta in prestito ad altre mani. Francesco, che ha avuto parecchi guai con la giustizia, fece una fine atroce: il 7 agosto 1993 fu torturato, mutilato, ucciso e bruciato insieme all'amico Angelo Vargiu.

I loro corpi carbonizzati furono trovati nella frazione Garretto di Chianni vicino a Pontedera nel bagagliaio della Volvo 240 di proprietà di Francesco Vinci. Salvatore, invece, è un fantasma. Processato e assolto dall’accusa di avere ucciso in Sardegna la moglie Barbarina Steri, accusato di violenze domestiche dalla seconda moglie conosciuta in Toscana, processato con l’accusa di abusi e sevizie nei confronti di un servo pastore, lasciò l’Italia tra il 1993 e il 1994. Ricorda Rita Dedola, la sua prima avvocata a Cagliari: «Venne a salutarmi e capii che era una partenza definitiva. So che si trasferì in Spagna insieme alla nuova compagna di nome Marisol». Se fosse vivo Salvatore Vinci avrebbe 90 anni. «Lo ricordo come un uomo intelligente, dallo sguardo acuto che metteva inquietudine». Era lui il Mostro? «Non so, ma di sicuro su quei delitti sapeva qualcosa di molto importante».

Primo piano
Le indagini

Evaso, è un fantasma da 28 anni: confronto con il Dna delle figlie

di Kety Sanna
Le nostre iniziative