La Nuova Sardegna

L'intervista

Bebbe Severgnini e la Sardegna: «L’isola per me è più di una casa, peccato sia un po’ snobbata dallo Stato»

di Clarissa Domenicucci
Bebbe Severgnini e la Sardegna: «L’isola per me è più di una casa, peccato sia un po’ snobbata dallo Stato»

Lo scrittore si racconta: i libri, l’amore per la Gallura nato nel 1973, la spiaggia del cuore, il legame speciale con i sardi

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Nel 1979 Giuseppe, detto Beppe, è un ragazzo di ventidue anni, scrive la tesi di laurea in giurisprudenza e pensa che forse diventerà notaio come suo padre. Arriva in moto in Gallura, conosce una ragazza belga ed è il padre di lei a spingerlo verso quello stage alla Commissione dell’Unione Europea che muterà i suoi orizzonti. La Sardegna torna a segnare la sua vita quando, nel gennaio 1984, il Rotary Club di Cagliari lo invita a tenere la sua prima conferenza. Negli anni a venire l’isola si dimostrerà sua sostenitrice, con teatri e piazze gremite ogni volta. Severgnini contraccambia. La Sardegna sbuca in molti suoi libri, articoli e commenti. Nel 2009 scrive un elenco - 45 buoni motivi per amare la Sardegna - diventato un classico («Lo trovo appeso ancora oggi nei bar e nei negozi!»).

L’amore tra il giornalista lombardo e l’isola, come dicevamo, inizia nel 1973, quando il padre di Beppe, notaio in Crema, viene a conoscenza di una piccola lottizzazione in Alta Gallura. «Costruimmo due casette a Rena Majore (Aglientu), scoprimmo Santa Teresa, cominciammo a viaggiare per l’isola. Oggi, più di mezzo secolo dopo, Rena Majore è decuplicata, e io faccio ormai parte del paesaggio, come i ginepri. Quest’estate ho presentato in giro per l’Italia il mio libro Socrate, Agata e il futuro: il maggior numero di appuntamenti, in Sardegna. Otto, per ora: dalla Barbagia all’Anglona, dalla Gallura al Sulcis, da Gonnesa al tempio di Antas, vicino Fluminimaggiore». «Sempre pieno», si stupisce ancora lui. «Forse più sardi che turisti, e questo mi inorgoglisce».

«Tutte le volte sono andato senza compenso, per affetto e voglia di conoscere», incalza Severgnini. «L’ho fatto educatamente notare anche alla presidente Todde e al suo gruppo, quando ci siamo incontrati a Gavoi: io vengo per amore, poi scopro – i lettori sardi mi informano! – che diversi Comuni sull’isola sborsano centinaia di migliaia di euro per concerti ed eventi con artisti non sempre indimenticabili. Mi sembra, conoscendo la Sardegna, che quei soldi potrebbero essere impiegati meglio, no?».

Giornalista, editorialista del Corriere della Sera dal 1995 dove ha creato l’iconico blog Italians, Severgnini ha diretto il settimanale 7-Sette, collaborato con The New York Times tra il 2013 e il 2021 ed è stato corrispondente in Italia per The Economist. E’ autore di molti bestseller: il primo è Inglesi (1990), il più recente Socrate, Agata e il futuro. L’arte di invecchiare con filosofia (2025, Rizzoli), giunto alla sedicesima edizione e a lungo in vetta alle classifiche. Una riflessione profonda e pungente al tempo stesso, in perfetto stile Severgnini, che invita ad accettare il tempo che passa indossando con eleganza la propria età. Qualunque età, sottolinea lui: «Dobbiamo accettare che c’è un tempo per ogni cosa, anche per restituire. Non possiamo continuare a sgomitare, a spingere e accumulare, dobbiamo imparare a far spazio agli altri. La generazione dei figli e dei nipoti ha bisogno di respirare, non di anziani insopportabili che tolgono l’aria». Sposato con Ortensia, Beppe Severgnini ha un figlio, Antonio, e una nipotina di tre anni, Agata, che gli ha letteralmente stravolto la vita. «Agata è stata decisiva nella scrittura del libro. Percepivo il rischio di diventare pedante, perché il tema è delicato, ma poi è arrivata lei e boom! Il testo si è acceso come una scintilla, siamo quasi a centomila copie. Tutto merito di Agata, che infatti avrà in regalo tutti i diritti d’autore!»

Quale sensazione prima sconosciuta le ha regalato la nipotina?

«Quando arriva un bimbo in famiglia si alza la nebbia e vedi il futuro. I bambini portano nella vita dei nonni disordine e lungimiranza, due cose di cui abbiamo bisogno. Sono le abitudini maniacali e le case trasformate in mausolei che ci fregano. Una bimba come Agata evita tutto questo: è un amorevole tornado».

È già salita su un palco accompagnando il nonno?

«Due volte – ad Asiago e a Cortina - e le è piaciuto. Improvvisamente io non esistevo più, c’erano cinquecento persone e una bimba in braccio a me sul palco, la star. D’altronde in un mondo pieno di Trump una bambina è una bella notizia. Aggiungo: è accaduto solo quest’estate, per Agata è un gioco e va bene così. Ma qui ci fermiamo. Non voglio che diventi un personaggio pubblico, per carità».

Il 26 agosto presenterà il libro ad Alghero all’interno della rassegna Dall’altra parte del mare e il 30 agosto sarà a Santa Teresa di Gallura a chiudere gli incontri di Ligghjendi.

«Sono molto felice di concludere in Sardegna la stagione degli incontri estivi. A settembre riparto da Festivaletteratura a Mantova».

Cosa migliora in Sardegna di anno in anno?

«La cultura dell’ospitalità. Negli anni’ 70 il turismo era rudimentale. Oggi c’è più attenzione, le nuove generazioni hanno fatto uno scatto importante – da ristoranti più noti ai B&B più isolati - e lavorano come i colleghi veneti o pugliesi. Magari più collaborazione fra gli operatori, quella servirebbe».

E cosa peggiora?

«Non è cambiata, purtroppo, la distrazione nazionale verso la Sardegna. Né la difficoltà, per le amministrazioni regionali, di stabilire le priorità. Non riesco a capire perché i fondi del Pnrr non siano stati impiegati tutti per costruire una rete ferroviaria degna di questo nome, per sistemare la disastrata rete idrica, per riorganizzare e pagare la sanità. Anche a Santa Teresa Gallura, un gioiello turistico, devi augurarti di stare bene. La guardia medica c’è e non c’è».

Intanto in tutta Italia si litiga sull’estate 2025: per alcuni un boom, per altri un flop. Lei che ha girato parecchio, cosa dice?

«Non un boom, non un flop. Un blop, qualcosa a metà strada. Il mondo è agitato e l’Italia è accogliente, per noi e per gli stranieri. Ne ho visti moltissimi sulle Dolomiti, in Liguria, in Toscana, in Veneto. Anche in Sardegna. Certo, gli stabilimenti balneari in continente hanno davanti scelte difficili. Per una famiglia, viaggio, alloggio, cibo e un po’ di divertimento sono costi fissi, è normale che cerchi la spiaggia gratuita (i sentieri di montagna lo sono!). Per fortuna in Sardegna le spiagge sono quasi tutte libere. I soldi che altrove vanno nel lettino e nell’ombrellone, qui servono per traghetto o aereo…»

Qual è la sua spiaggia del cuore?

«Monti Russu, comune di Aglientu, un tratto di costa mozzafiato: intatto, verde, spazioso, acqua magica. Anni fa stavano per farci una grande speculazione immobiliare, ma ce ne siamo accorti in tempo. Ne ho scritto sul Corriere della Sera, è intervenuta La Nuova Sardegna, Videolina, il WWF. Poi la Procura di Tempio e la Commissione Ue, che aveva finanziato il Sic (Sito interesse comunitario). Disastro evitato, ne vado orgoglioso. E il Comune di Aglientu, oggi, ha ben chiaro che i diamanti si mostrano, non si svendono».

L’ultima volta che un sardo l’ha sorpresa?

«All’inizio di luglio sono tornato a Oliena per presentare il libro. Tutti, in piazza, si ricordavano dell’ultima volta che ero stato lì, nel 2009, con mio papà novantaduenne, e le conversazioni con lui. Sedici anni dopo! Solo in Barbagia».

Tra i “45 buoni motivi per amare la Sardegna” c’è questo “L’accento si può migliorare, basta allenarsi con amici sardi spiritosi”. Lei ne ha molti?

«Scherzando sta? Gli amici sono tanti. Ci sono i ragazzi di Rena Majore con cui sono cresciuto, oggi quasi settantenni. C’è la libraia Tina Roggero a Santa Teresa con la sua famiglia. C’è la famiglia di Rafaele Corona di Cagliari, appena scomparso, magistrato e illustre giurista. Sua moglie Rosellina mi invitò a parlare al Rotary Club di Cagliari: non sapevano che, per me, era la prima volta! Avevo 27 anni, i capelli lunghi e la giacca sbagliata. Mi affidarono ai loro i figli Maurizio, Roberto ed Elisabetta. Siamo ancora amici».

Non si può raccontare il tutto con una parte. Eppure la Sardegna viene ancora confusa con la Costa Smeralda.

«Una confusione pagata a caro prezzo. La Costa Smeralda è splendida, ma in luglio e agosto è l’area-giochi per i molto ricchi. Non tutti eleganti, si può dire? Ma sono 70 chilometri su 1900 chilometri di coste sarde. Ne avanzano 1820. Sono quelli dove vado io e dove vanno quasi tutti».

Ha accostato la Sardegna a una donna bellissima, spesso sola: in tanti dichiarano di amarla, ma si ricordano di lei solo d’estate.

«Ci sono uomini che vogliono la ragazza-trofeo. Ce ne sono altri che vogliono la vacanza da esibire».

Veniamo agli italiani in giro per il mondo. Provano la stessa nostalgia del Belpaese che sentivano i bisnonni emigranti?

«La stessa nostalgia, ma per motivi diversi. Quella dei bisnonni era una nostalgia vaga e sentimentale, perché alle spalle c’era la miseria. Gli expat italiani di oggi provano una nostalgia agrodolce. Ce ne sono di due specie. Ci sono i Marco Polo che esplorano, ed è bello. Ma ci sono anche i Montecristo costretti ad evadere: perché non hanno lavoro, perché non li pagano, perché in Italia certi ambienti sono soffocanti».

Torniamo ad Agata, Socrate e il futuro. Il non prendersi troppo sul serio aiuta ad affrontare l’età che avanza?

«Certo. Il rischio è diventare vecchi barbogi. Ne vedo dovunque. Anziani egoisti, cinici, sospettosi. Nei media ci sono coetanei che dovremmo zavorrare: il loro ego rischia di sollevarli in aria come mongolfiere. L'autoironia, invece, è l'antiruggine dell'anima. E la ruggine, si sa, si deposita col tempo. Ecco perché, se da giovani è utile, da anziani diventa indispensabile».
 

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