Tassa da 2 euro sui pacchi dell’ultra fast fashion: la stretta dell’Italia contro Temu e Shein
Dal 2026 un contributo fisso sulle micro-spedizioni sotto i 150 euro per rafforzare i controlli doganali. Misura pensata per sostenere il settore moda, mentre otto Paesi Ue chiedono un intervento europeo e indagini sulle piattaforme cinesi
Roma La pressione sulle piattaforme dell’ultra fast fashion torna al centro del dibattito politico. A spingere per un intervento immediato è il governo italiano, che punta a introdurre già da gennaio un prelievo sui pacchi in arrivo e in partenza da Paesi extra-Ue, in attesa di una normativa comune europea. L’obiettivo è arginare la concorrenza dei colossi del commercio online – in particolare Temu, Shein e AliExpress – accusati di inondare il mercato con prodotti a prezzi irrisori, mettendo in difficoltà il comparto moda nazionale.
La misura proposta dalla maggioranza, inserita nella legge di bilancio tramite due emendamenti, prevede un contributo fisso di 2 euro per ogni spedizione di valore inferiore ai 150 euro proveniente da Paesi non europei. Le somme raccolte serviranno a potenziare i controlli doganali. L’idea iniziale di applicare una percentuale del 5-10% su ogni transazione sembra ormai accantonata. Il costo formale ricadrebbe sulle piattaforme, anche se non è escluso che possa essere trasferito ai consumatori. La tassa si applicherebbe anche ai pacchi spediti dall’Italia: una scelta ritenuta necessaria per evitare che la misura si trasformi in un dazio, materia che rientra nelle esclusiva competenza dell’Unione Europea.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato il probabile via libera agli emendamenti, spiegando che il contributo rientra in un più ampio pacchetto di interventi a tutela degli esercenti della moda. L’iniziativa prevede anche il rafforzamento della responsabilità estesa del produttore nel settore tessile e l’introduzione di regole più rigide sulla pubblicità delle piattaforme di ultra fast fashion sui social e sulle app più diffuse tra i giovani. Secondo Urso, il fenomeno ha portato «12 milioni di pacchi al giorno in Europa senza alcun controllo, perché sotto la soglia dei 150 euro».
La scelta italiana nasce in un contesto di forte sofferenza per il settore. Confindustria Moda parla di una crisi di vendite aggravata dai dazi statunitensi e da un mercato interno in rallentamento: il rischio stimato è una perdita di 20 miliardi di fatturato e di 35mila posti di lavoro nel giro di cinque anni. Intanto, tra le importazioni, spicca l’aumento a doppia cifra dei prodotti cinesi (+11,8%).
Sul fronte europeo, diversi Stati spingono per una risposta comune più incisiva. Una lettera firmata da otto Paesi – oltre all’Italia, anche Austria, Belgio, Spagna, Francia, Grecia, Ungheria e Polonia – chiede alla Commissione di rafforzare i controlli, applicare con rigore il Digital Services Act e valutare nuove misure per affrontare i rischi sistemici legati alle piattaforme di e-commerce. Tra le richieste c’è anche l’introduzione di un’imposta Ue sui pacchi di basso valore, da applicare già nel 2026.
Bruxelles ha già chiesto chiarimenti a Shein, un passo che potrebbe preludere a un’indagine formale. La Francia spinge affinché eventuali verifiche siano accompagnate da misure temporanee «per attenuare i rischi sistemici» e ricorda il recente tentativo, poi fallito, di sospendere la piattaforma dopo la scoperta della vendita di bambole sessuali con sembianze infantili.
Il tema dei dazi europei resta però centrale. L’Ecofin ha dato il via libera politico alla cancellazione della norma che oggi esenta dai dazi le spedizioni di modico valore, sotto i 150 euro. La riforma entrerà in vigore solo nel 2028, ma per l’Italia non è sufficiente. Urso chiede che Bruxelles anticipi i tempi: «Il dazio su questi pacchi deve entrare in vigore subito, non tra tre anni». In caso contrario, avverte il ministro, il governo procederà comunque con la nuova legislazione nazionale.
