La Nuova Sardegna

Sassari

Gli Statuti Sassaresi, sette secoli ben portati

di Antonio Meloni
Gli Statuti Sassaresi, sette secoli ben portati

Cosa racconta la storica Costituzione della repubblica cittadina nata nel 1336. La raccolta di leggi scritta in sardo plasmò la città lasciando segni indelebili

13 novembre 2016
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Era protetta da una possente cinta muraria, sorvegliata da una trentina di torri e divisa in quattro quartieri e cinque parrocchie. L’accesso era assicurato da quattro porte sorvegliate da altrettanti guardiani che al tramonto chiudevano i possenti battenti di legno per garantire quella sicurezza che, allora, era sinonimo di sopravvivenza.

Al viaggiatore del XIII secolo, Sassari doveva apparire più o meno così quando, a piedi o a cavallo, percorrendo i tortuosi e malsicuri sentieri rurali, arrivava sotto le mura della città capoluogo del Giudicato di Torres. A raccontarlo, con dovizia di particolari, sono i redattori degli Statuti Sassaresi, uno dei più importanti documenti giuridici del Medioevo sardo di cui quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:sassari:cronaca:1.14409141:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2016/11/13/news/condanna-a-morte-per-i-bagni-promiscui-multa-agli-stupratori-1.14409141]]

Non si tratta semplicemente di una raccolta di leggi scritte, negli Statuti, infatti, c’è l’impronta di quella dimensione urbana che, nel tempo, ha lasciato tracce indelebili nella storia e nella cultura di Sassari. Ecco perché gli studiosi – lo ha ricordato anche nei giorni scorsi lo storico Antonello Mattone – sono concordi nel ritenere che questo documento rappresenti a pieno titolo «la base dell’identità storica della città».

Sette secoli portati bene, grazie all’attenta conservazione, nell’Archivio storico comunale, della pergamena originale redatta in sardo volgare e scritta in gotico testuale italiano, stile con cui, allora, si redigevano gli atti giuridici. Sassari era comune pazionato, libero, ma soggetto a determinate limitazioni in seguito a un accordo stipulato prima con Pisa e poi con Genova, potenti repubbliche marinare che controllavano il Mediterraneo e governavano sul territorio con un podestà che restava in carica un anno, supportato da quello che oggi chiameremo il suo staff.

All’epoca del documento, visibile, in questi giorni, nelle sale espositive dell’Archivio di via dell’Insinuazione, l’accordo con la Repubblica genovese venne ratificato il 28 ottobre 1316 dal podestà Cavallino de Honestis a cui è intitolata l’area verde recintata tra piazza Castello e largo Cavallotti.

Ma chi era in realtà il podestà? Enrico Costa nel “Sassari” spiega che si trattava di una specie di presidente della Repubblica e che non poteva essere sassarese perché un podestà straniero, non avendo interessi e rapporti d’amicizia, offriva maggiori garanzie di buona amministrazione. Arrivava da Genova, con un consigliere militare, un notaio e dieci fedelissimi miliziani, aveva un certo potere che però era bilanciato dal controllo del Consiglio maggiore, formato da cento cittadini sassaresi, che garantivano il rispetto del patto fondato sulla rigida osservanza degli Statuti. Ricalcava, insomma, il modello di comune podestarile assai diffuso nelle regioni oltre Tirreno.

All’interno del Consiglio venivano designati 16 “anziani”, quattro per quartiere, con una funzione del tutto simile a quella che oggi ha la giunta comunale. Erano il braccio operativo, l’organo esecutivo dell’amministrazione civica, restavano in carica un anno, trascorso il quale si procedeva alla nuova designazione con un moderno sistema elettorale che coinvolgeva direttamente i cittadini dei quartieri.

Questa è solo una minima parte di ciò che si trova negli Statuti, il documento si compone di tre libri, il primo tratta di diritto amministrativo, spiega le modalità di formazione e la funzione degli organi di governo, ma detta anche norme di diritto agrario. Il secondo è dedicato al diritto processuale e il terzo a quello penale. La giurisdizione era molto ampia visto che il Codice era in vigore su tutto il territorio circostante che a quel tempo contava circa quindicimila abitanti. Significative e all’avanguardia, per l’epoca, le norme relative alla pratica agricola, all’edilizia, ma anche quelle sulla registrazione dei contratti e sull’amministrazione della giustizia.

Tutto questo, da qualche giorno, è patrimonio pubblico grazie all’operazione varata dal Comune che, a sette secoli dalla promulga, ha digitalizzato il documento riversandolo sul web per essere consultabile da qualsiasi dispositivo collegato in rete. Un’iniziativa di grande valenza scientifica e divulgativa che permette a tutti di ricostruire in dettaglio la temperie storica e culturale della Sassari medievale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Verso le elezioni

Tredici sardi in corsa per uno scranno nel Parlamento europeo: ecco tutti i nomi

di Umberto Aime
Le nostre iniziative