L’inchiesta del 2020 sulla droga a Mamone, assolta l’ultima imputata
Non è emersa alcuna prova, durante il dibattimento, del fatto che l’imputata avesse avuto un ruolo attivo nell’attività di coltivazione di sostanza stupefacente
Sassari Non è emersa alcuna prova, durante il dibattimento, del fatto che l’imputata Maurizia Tolu avesse avuto un ruolo attivo nell’attività di coltivazione di sostanza stupefacente.
Quel terreno dove i carabinieri, cinque anni fa, avevano trovato 240 piante di cannabis indica distava sette chilometri da Mores, paese dove la donna abitava. Ed era dunque plausibile che l’imputata nulla sapesse di quella piantagione, contrariamente invece ad alcuni suoi familiari.
Si è chiuso con una sentenza di assoluzione il processo a carico della Tolu, finita nei guai quando la Procura di Nuoro aveva aperto un’inchiesta che aveva interessato la colonia penale di Mamone e che a luglio del 2020 aveva portato – sempre a Nuoro – all’arresto di cinque persone (tra cui un impiegato amministrativo e un poliziotto penitenziario) accusate a vario titolo di peculato, ricettazione e coltivazione di marijuana.
Ad altre due indagate (due sorelle, una di queste era Maurizia Tolu) era stata invece imposta la misura cautelare dell’obbligo di dimora per coltivazione di stupefacenti. Ed era stato proprio questo reato ad aver fatto scattare la competenza territoriale di Sassari, perché la piantagione di marijuana era stata scoperta all’interno di un capannone-ovile nelle campagne di Mores, nella località “Preddas Fittas”.
L’indagine era partita dopo il ritrovamento, nel 2017, di otto cellulari e di marijuana in una delle diramazioni di Mamone. Gli arrestati erano un dipendente amministrativo al vertice dell’ufficio in cui passava la gestione delle merci in ingresso e uscita di Mamone, un agente in servizio nella stessa casa di reclusione, un ex detenuto, più altre due persone al di fuori della colonia (alcuni di questi imputati hanno patteggiato la pena, altri hanno scelto il rito abbreviato che si è già concluso).
Nell’operazione erano rimaste coinvolte anche la moglie del dipendente di Mamone e sua sorella Maurizia, residente a Mores, perché secondo l’accusa avevano partecipato attivamente alla coltivazione di cannabis. Il gip di Sassari nell’ordinanza aveva rimarcato che gli elementi probatori riguardanti la piantagione realizzata a Mores erano emersi «sulla base delle intercettazioni telefoniche e ambientali».
A questo proposito l’avvocato Antonio Secci, avvocato difensore della Tolu – l’unica che ha scelto di affrontare il processo con il dibattimento, sicura di poter dimostrare la propria innocenza – nella discussione di alcuni giorni fa davanti alla giudice Sara Pelicci ha ribadito come da quelle conversazioni intercettate sia emerso invece che la sua assistita non aveva avuto alcun ruolo rispetto alle condotte contestate dalla Procura.
«Ci può essere stata al limite connivenza – ha detto il legale – che non è punibile nel nostro ordinamento giuridico». Di diverso avviso il pubblico ministero Andrea Giganti che aveva chiesto la condanna a 5 anni di reclusione.
Il giudice, accogliendo le argomentazioni della difesa, ha assolto l’imputata con formula ampia.