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L’anniversario

Due sardi volanti nella staffetta che conquistò lo storico bronzo di Göteborg ‘95

di Andrea Sini
Due sardi volanti nella staffetta che conquistò lo storico bronzo di Göteborg ‘95

Gianni Puggioni e Sandro Floris ricordano l’impresa di trent’anni fa ai Mondiali con la 4x100

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Sassari «Oggi lo possiamo dire: a quel mondiale la federazione non ci voleva portare. Poi quando scendemmo dal podio vennero tutti giù negli spogliatoi a festeggiare con noi un risultato straordinario. Per noi fu una rivincita impagabile».

Molti anni prima degli eroi di Tokyo 2020, un’altra staffetta a forte trazione sarda lasciò il segno nella storia dell’atletica. Nell’agosto del 1995, giusto trent’anni fa, la squadra azzurra della 4x100 riuscì nell’impresa di salire sul podio ai campionati mondiali di Göteborg, portando a casa la medaglia di bronzo. Un risultato superato abbondantemente dall’oro olimpico conquistato tre anni fa da Patta, Desalu, Jacobs e Tortu, ma per niente offuscato dal tempo.

Sardi volanti L’azzurro sulla maglia, i quattro mori nel cuore, il testimone stretto in mano e via, più veloci della luce verso la gloria. In prima frazione c’è un sassarese, Gianni Puggioni, la dinamite nelle gambe e tempi di reazione sui blocchi da restare a bocca aperta. In ultima c’è un cagliaritano, Sandro Floris, potenza e agilità abbinate per un lanciato devastante, imprendibile. In mezzo ci sono Ezio Madonia, ligure di Albenga, e Angelo Cipolloni da Rieti. Tutti insieme, faranno saltare sui divani milioni di italiani.

«Ma davvero sono già passati trent’anni? – si schermisce Sandro Floris –. Io di certo non sono invecchiato, quello che è invecchiato è sicuramente Gianni». «C’è poco da dire – ribatte Puggioni –, i risultati parlano chiaro: io e Sandro abbiamo lo stesso personale nei 100, ma io ho fatto meglio nei 200».

La storia Trent’anni dopo, a duecento chilometri di distanza, le punzecchiature tra un cagliaritano e un sassarese, rivali in pista per tanti anni a livello individuale ma affiatatissimi nel gruppo azzurro della staffetta, la dicono lunga sulla chimica che portò l’Italia sul bronzo. «Di certo il bronzo di Goteborg è il risultato di maggior prestigio della nostra carriera – racconta Puggioni, oggi 59enne –. Il ricordo è ancora vivo e forte, e la cosa buffa è che sul serio la federazione non ci voleva portare a quei mondiali, nonostante avessimo in tasca il minimo, perché non ci ritenevano abbastanza competitivi. Ci fecero fare prove su prove, test e controtest, dimostrazioni. Ci mandarono a fare il meeting di Montecarlo e lì dimostrammo di essere all’altezza. Quello delle staffette era un progetto particolare, diretto Eddy Ottoz insieme a Gianfranco Dotta, che era anche l’allenatore mio e di Sandro. Eravamo un gruppo votato alla staffetta, nel senso che a livello internazionale spesso rinunciavamo alle gare individuali e ci concentravamo sulla 4x100. Facevamo prove ogni mese e grazie a questo i nostri cambi divennero talmente fluidi che il risultato complessivo era migliore della nostra reale competitività a livello individuale. Per capirci: noi eravamo velocisti da 10”30 nei 100, e insieme battevamo squadre di velocisti da 10” netti».

«Fu un anno difficile – conferma Floris, sessant’anni appena compiuti – ma lavoravamo benissimo con Dotta, stavamo bene insieme e puntavamo tutto sulla staffetta. Insomma, in qualche modo ci credevamo».

I primi segnali La staffetta azzurra vanta una lunga tradizione, ma l’ultima medaglia di peso risaliva ad Helsinki 1983, con una squadra formata da Tilli, Simionato, Pavoni e Mennea capace di vincere l’argento alle spalle degli Stati Uniti di Calvin Smith e Carl Lewis. A Göteborg la concorrenza non è meno forte, eppure già nelle batterie l’ItalSardegna inizia a farsi notare. «Corremmo in prima corsia, la più complicata – dice Puggioni, primo frazionista –, ma vincemmo in 39” netti davanti alla Gran Bretagna. Non un grande crono, ma fu una bella iniezione di fiducia». «In virtù di questo risultato – aggiunge Floris - semifinale ci toccò la quinta corsia. Ci furono i cambi giusti e chiudemmo al secondo posto con 38”41 dietro l’Australia e davanti al Brasile».

La gloria Nel momento in cui Gianni Puggioni infila le scarpe chiodate sul blocco numero 3 per la finale, Marcell Jacobs è un neonato che deve ancora compiere un anno. Filippo Tortu sarebbe nato tre anni più tardi, Lorenzo Patta cinque. Nella pedana dei salti Fiona May ha appena conquistato l’oro nel lungo; nel triplo, il britannico Jonathan Edwards sta per volare a 18,79, record del mondo tuttora imbattuto. In cabina fonica, un giovane Fausto Bragagna trasuda tifo per gli azzurri dal suo microfono.

Allo start, lo sprinter sassarese aggredisce la pista e per la terza volta su tre in quell’edizione dei mondiali fa segnare il miglior tempo assoluto di reazione. «Una stranezza – dice oggi – perché di solito non ero così reattivo».

Il primo cambio è perfetto, Madonia vola nel rettilineo e anche se il cambio con Cipolloni è un po’ lungo, l’Italia è quinta. L’ultimo cambio è una catapulta che lancia Sandro Floris verso una volata esaltante sul rettilineo finale. Il Canada è oro con 38”31, l’Australia è argento con 38”31, l’Italia a trazione sarda si prende il bronzo con 39”07, davanti alla Jamaica. E pensare che col crono della semifinale sarebbe stato argento. «Negli spogliatoi i dirigenti ci dissero che puntavano molto su di noi – sorride oggi Puggioni –. Ma gli unici a crederci davvero eravamo noi».

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