La Nuova Sardegna

Il giorno che la Nuova si liberò dal fascismo

Manlio Brigaglia
Il giorno che la Nuova si liberò dal fascismo

Strangolato dal regime, il giornale tornò in edicola nel 1947. Il nostro quotidiano celebra i settant’anni della sua riapertura dopo l’incubo totalitario: sospese la pubblicazione il 22 gennaio del 1926

27 aprile 2017
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La Nuova Sardegna ritorna in edicola. La guerra europea è finita da quasi due anni, in Sardegna da quasi quattro anni non c’è più il regime fascista. È una resurrezione, a lungo aspettata, forse perfino un po’ tardiva. Il giornale mancava da ventun anni e qualche mese, da quel 22 gennaio del 1926 in cui l'alleanza fra la prefettura di Sassari e le squadre fasciste in provincia laveva . strangolato, come il gerarca di turno aveva promesso qualche settimana prima in un congresso del Pnf. Facendo appello alle leggi sull’ordine pubblico, nel giro di pochi giorni il prefetto aveva sequestrato il giornale 17 volte; le squadre dei diversi centri della provincia aspettavano alla stazione i pacchi del giornale per bruciarli appena sbarcati dal treno.

La bufera. Al giovane Arnaldo Satta Branca, 36 anni, direttore (e comproprietario) del giornale non era restato altro che portare i libri contabili in tribunale. Eppure s'era preso due piccole ma coraggiose rivincite. Il numero che annunciava la chiusura del giornale aveva l’intera prima pagina provocatoriamente tappezzata di illustrazioni pubblicitarie, e contemporaneamente gli abbonati avevano ricevuto da lui una lettera con una promessa solenne: «Quando la bufera che sovverte i più essenziali valori della nostra civiltà moderna sarà placata – scriveva – risorgerà questo giornale che voi, amici, amate, che la Sardegna ama e che noi vediamo abbattuto per un momento con la stessa angoscia con cui vedremmo soggiacere una persona cara a un agguato». Risorgerà: ma ci vollero più di vent’anni.

Una svolta. A pensarci bene, alla luce della dichiarazione d’intenti, quella Nuova del 1947 era abbastanza “nuova” anche rispetto al suo primo periodo, cioè dall’uscita come quotidiano il 17 marzo del 1892 al giorno dello strangolamento fascista. E lo era almeno per due motivi. Il primo è che nelle linee di programma si disegnava un giornale indipendente, in cui la «diuturna opera» dei redattori» si sarebbe svolta «al di fuori e al di sopra delle competizioni ispirate a passione di parte, a tendenze politiche»: «La formazione dell’opinione pubblica deve scaturire dalle autonome impressioni individuali, concorrenti a formare l’indirizzo del pensiero collettivo»: niente a che vedere con il piglio fortemente polemico e radicale della Nuova di Pietro Satta Branca, che polemizzava non solo con il governo e con il prepotente Cocco Ortu ma anche con i ringhiosi prefetti di Pelloux.

Parentesi a destra. Secondo: niente a che vedere neanche con un breve periodo, praticamente di un anno o giù di lì, fra l’estate del 1922 e l’estate del 1923, in cui tanto il proprietario-direttore Pietro Satta Branca (personaggio eminente della città, di cui era stato sindaco nel primo decennio del Novecento e poi, dal 1913, anche deputato radicale) quanto il mitico direttore Medardo Riccio mostrarono una certa simpatia per il fascismo. Quell’anno fu come una parentesi, un periodo molto breve, durante il quale gli avversari del gruppo che faceva capo alla Nuova potevano far circolare la voce che qualcuno di loro tentava di entrare nelle file del fascismo sassarese, disposto anche a metter su una sezione del Pnf, parallela o concorrente di quella ufficiale. Del resto, altrettanto accadeva a Cagliari, anche più apertamente, tra i fascisti della prima ondata, sponsorizzata da Ferruccio Sorcinelli, industriale minerario ed editore dell’Unione sarda, e il “nuovo” Pnf della seconda ondata, arricchita dalla conversione di diversi ex-sardisti).

L’omicidio Matteotti. Il filo-fascismo della Nuova (il termine è forse eccessivo, ma vorrei rendere l’idea) fu interrotto da due morti improvvise, che a breve distanza colpirono il giornale: nel gennaio 1923 morì Medardo Riccio, mentre a luglio scomparve Pietro Satta Branca. In una situazione d’emergenza fu richiamato da Roma il figlio di quest’ultimo, Arnaldo. Questi, che sul finire della guerra aveva fondato a Sassari un’associazione di reduci e mutilati di guerra, nella capitale frequentava il gruppo di Vincenzo Torraca, vicino al movimento degli ex-combattenti che faceva capo a Gaetano Salvemini, su posizioni liberal-democratiche e socialmente avanzate, con una ispirazione nettamente antifascista. E una linea antifascista Arnaldo impresse al giornale appena arrivò a Sassari: provocando anche una crisi all’interno del gruppo degli azionisti del giornale, perché nel frattempo quello che era un po’ il leader storico dei radico-repubblicani che avevano dato vita alla Nuova, Filippo Garavetti, deputato della città a cavallo fra Ottocento e Novecento, e nel 1910 nominato, lui repubblicano, senatore del Re (come dicevano gli avversari), aveva espresso apertamente la sua adesione al fascismo. Ma era un vecchio gentiluomo: uscì subito dalla proprietà del giornale, regalando generosamente le sue azioni proprio al giovane Arnaldo. Che nel 1924, dopo l’assassinio di Matteotti, organizzò una colletta per aiutare la famiglia (e onorarne la memoria) che ebbe una larghissima, straordinaria adesione di offerte. I fascisti sassaresi, per loro conto, davano vita, attraverso un gruppo di industriali, a un giornale, L’Isola, subito concorrente della Nuova, destinato a passare in proprietà diretta del Pnf e diventare, dal gennaio 1926, l'unico quotidiano sassarese per tutto il periodo fascista.

Successo moderato. Una spiegazione del carattere apertamente moderato della Nuova di quel 1947 si spiega con le tendenze dell’opinione pubblica di cui parlava l'editoriale: le amministrative della primavera 1946 avevano visto il massiccio successo della Dc, confermato dalle elezioni per la Costituente, e il referendum dello stesso 2 giugno avevano segnalato la provincia di Sassari come la più monarchica della Sardegna. I sardi, insomma, stavano a destra. E il giornale si allineava. Solo il referendum del 1974, con una massiccia adesione al “no” contro l’abrogazione del divorzio, avrebbe mostrato quanto erano cambiate le tendenze dell’opinione pubblica di cui parlava quell’editoriale.

Il foglio della Dc. Di tutto quello che avvenne dopo, sta scrivendo in un libro, che è quasi finito, Pier Giorgio Pinna, che questi recenti anni del giornale li ha vissuti quasi tutti dai tavoli della redazione. Quanto all’Isola, continuò a uscire sino alla fine di dicembre del 1946, debitamente defascistizzata, come si diceva. In realtà era cambiata la direzione, cui era stato chiamato Arnaldo Satta Branca, e alla redazione praticamente immutata erano stati affiancati alcuni fra i più conosciuti antifascisti cittadini. L’improvvisa interruzione delle pubblicazioni dell’Isola fu addebitata a una manovra organizzata, si disse, dal senatore dc Giovanni Lamberti, per aprire la strada a un quotidiano do stretta osservanza democristiana, Il Corriere dell’Isola, che in effetti uscì il 15 febbraio successivo, precedendo di due mesi la nuova Nuova Sardegna, che però guadagno il mercato e diventò in poche settimane il giornale dei sassaresi e di almeno la metà settentrionale dell’isola.

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