La Nuova Sardegna

Da Perdasdefogu ai lager nazisti

Da Perdasdefogu ai lager nazisti

Successo a Sassari del monologo di Paolo Floris “Storia di un uomo magro”

29 gennaio 2018
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SASSARI. Vittorio Palmas non aveva mai raccontato ai suoi familiari i fatti tragici di cui era stato protagonista involontario durante la seconda guerra mondiale. Le sue cinque figlie e i tanti nipoti non conoscevano i dettagli della sua prigionia, come soldato italiano ex alleato della Germania, nel campo di Bergen-Belsen, dove era sopravvissuto fino alla liberazione solo perché superava di appena due chili il peso minimo di trentacinque, che in quei tempi portava dritto ai forni crematori. A far conoscere la storia di “Zio Cazzài” (dalla sua passione per la caccia), che oggi ha 104 anni, ha provveduto nel 2013 il giornalista e scrittore di Perdasdefogu Giacomo Mameli, nel libro “Il Forno e la Sirena” (Cuec).

Da quel racconto registrato in presa diretta, e tradotto anche in francese, l’attore Paolo Floris ha tratto un monologo dal titolo “Storia di un uomo magro”, che ha, tra l’altro, la supervisione di Ascanio Celestini, maestro di Floris in tecniche di teatro narrativo. Stasera il testo teatrale, portato sabato scorso a Sassari per la Giornata della Memoria (dopo il debutto all’Università Luiss di Roma) arriva a Cagliari (18.30 alla Fondazione di Sardegna) e mercoledì alle 18 al teatro di Santa Maria Navarrese.

Paolo Floris racconta la storia di Zio Cazzài senza l’aiuto di oggetti di scena e fa un’unica concessione alla musica, quando sottolinea la partenza di Palmas da Foghesu (Perdasdefogu) per il fronte con la canzone “Addio mia bella addio”. Un contrappunto amaro perché, a differenza della vicenda descritta nel canto risorgimentale, conosciuto anche come “L’addio del volontario”, nell’arruolamento di Vittorio Palmas la libera scelta non esiste. Per sottolineare il lato grottesco della situazione, l’attore adotta «il punto di vista di un bambino, anche perché – spiega Floris – “Storia di un uomo magro” è nato prima di tutto per le scuole, con le quali lavoro spesso. Volevo raccontare la storia senza troppi giri di parole». Da qui la scelta di un linguaggio fatto di immagini a contrasto, solo apparentemente buffe. Come l’antitesi tra uomini grassi e “studiati” che comandano, mentre i magri, i poveri, ubbidiscono e spesso muoiono. Di Vittorio Palmas, Floris ha ricreato «anche le movenze, per restare più vicino possibile alla sua storia e a lui, che ho conosciuto qualche anno fa».

La stessa cosa ha fatto Giacomo Mameli con la voce di Zio Cazzài, quando, dopo averla registrata, l’ha trascritta nelle pagine di “Il Forno e la Sirena”. «Quella di Vittorio Palmas è una testimonianza fondamentale per capire la Storia dal basso, dalla parte dei più umili, troppo spesso dimenticati a favore dei grandi protagonisti. Per questo – spiega lo scrittore foghesino – ho voluto riprodurre fedelmente le parole e le inflessioni di Zio Cazzài, che come tanti altri vecchi dei nostri paesi è un archivio della memoria e chiede solo di essere ascoltato». Se Palmas testimonia la vicenda terribile dei campi di concentramento, nei ricordi dell’altro protagonista del libro, Antonio Brundu, riecheggiano le sirene d’allarme dei bombardamenti nella Cagliari del 1943. Ma ancora prima di Palmas e Brundu, in tanti avevano già affidato a Mameli (“La ghianda è una ciliegia”, 2006) una testimonianza di quegli anni. Tra loro, Mario Casu che, nel campo di prigionia di Bengalore, comprò un vocabolario d’inglese per poter parlare con Gandhi, atteso in visita in quell’inferno costruito dagli uomini. (grazia brundu)

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