La Nuova Sardegna

A Tokyo il futuro si misura con la lentezza

di Fabio Canessa
A Tokyo il futuro si misura con la lentezza

Laura Imai Messina parla del suo nuovo libro illustrato dal cagliaritano Igort e di una città in continua evoluzione

25 novembre 2020
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In senso spirituale Igort la chiama sorellina, imouto in giapponese. Per l’amore comune nei confronti del Paese del Sol Levante e la stessa sensibilità nel raccontarlo. Lui soprattutto con il linguaggio del fumetto, lei con un fortunato blog e libri di successo. L’ultimo si intitola “Tokyo tutto l’anno” (Einaudi, 290 pagine, 19 euro) e parla della città dove Laura Imai Messina, nata a Roma, vive da ormai 15 anni. Ad accompagnare le sue parole ci sono alcune illustrazioni realizzate dall’artista sardo che porta il Giappone nel cuore. «Igort – spiega l’autrice – ha deciso di entrare in questo progetto dopo aver letto un estratto e il suo apporto è stato fondamentale. Le sue illustrazioni sono un’interpretazione alta, impreziosiscono il libro».

Perché la scelta di illustrazioni e non di foto come accompagnamento al testo?

«Ho subito spiegato alla casa editrice come vedessi affiancate alle parole di questo libro delle illustrazioni. Questo perché ritengo che l’illustrazione più ancora della fotografia sia capace di mantenere fermo il tempo presente. La fotografia ha il pregio dell’immediatezza, ma questo è anche il suo svantaggio. Nel senso che rischia di invecchiare facilmente. L’illustrazione invece può essere, quando fatta da un grande maestro, potenzialmente eterna».

L’idea più diffusa è quella che vede Tokyo come la città più tecnologica del pianeta, un avamposto del futuro. Eppure ci sono tracce del passato in tante cose. Come entra la tradizione nella quotidianità di chi vive in Giappone?

«La tradizione è come un fiume sotterraneo che scorre nelle abitudini quotidiane, nei riti che si tengono nei santuari, nelle feste estive. È ovunque. All’estero, è vero, colpisce maggiormente l’immagine della Tokyo futuristica che in qualche modo anticipa non soltanto il sorgere del sole ma anche il futuro che aspetta l’Occidente. Eppure in Giappone ciò che resta solido e saldo è proprio questo attaccamento alla tradizione e a un passato quasi non collocabile a livello cronologico. È proprio un’eredità lunga di gesti, di sapori, di riti».

Questo “Viaggio sentimentale nella grande metropoli”, come da sottotitolo, appare scandito dalla lingua. Che rapporto ha con il giapponese che a noi appare tanto difficile quanto affascinante, con la bellezza e le sfumature di significato dei kanji?

«La lingua giapponese resta una grande sfida anche dopo tanti anni di frequentazione. Rimane come una persona di cui si conoscono molti lati ma non tutti. È un’esplorazione continua e la difficoltà resta insita sia nella sua scrittura sia nel parlato. Tuttavia è proprio questo senso di accompagnamento e di frequentazione lunga, e amata, che poi la rende unica».

La Tokyo che racconta è anche letteraria. Quali scrittori consiglia a tutti di leggere?

«La letteratura giapponese è uno dei fil rouge di questo libro che racconta la città attraverso una serie di linee, di filamenti. Gli scrittori di varie generazioni hanno conosciuto, amato, odiato Tokyo. Io consiglierei di cercare di leggere quanto più possibile. Personalmente amo molto Dazai e Ogawa, ma con una buona traduzione credo che tutto ciò che è letteratura giapponese oggi meriti di essere letto, proprio per cercare di colmare una delle grandi lacune del mercato italiano che l'ha scoperta un po’ tardi».

In 15 anni che vive a Tokyo cos’è cambiato di più nella città?

«Tokyo da subito si è posta come una città in continuo mutamento, quindi quasi fatico a dire che cosa non sia cambiato. Come scrivo spesso in questo libro rimane la tradizione ma anche quella si è allacciata fortemente al consumo e questo fa sì che da una parte sopravviva, dall’altra parte che sia soggetta a oscillazioni continue».

C’è qualcosa, da italiana, a cui non si è mai abituata della vita in Giappone?

«Forse mi manca talvolta la socialità, la leggerezza nel contatto».

Tre quartieri della città assolutamente da visitare per chi viene a Tokyo la prima volta?

«Direi Shibuya perché così s’incontra un’idea già formata, una sorta di conferma. Shinjuku se la si visita in un modo lento per notare le differenze immense che si iscrivono nella geografia di questo quartiere. E poi Jindaiji perché mostra come sia rimasto intatto anche quel Giappone della tradizione, della lentezza assoluta, dei sapori tradizionali».

I capitoli sono formati dai 12 mesi dall’anno. Il suo preferito?

«Adoro ottobre sia perché è un mese di temperature gradevoli sia perché c’è questa fiera del libro a Jinbocho che attendo ogni anno con grande ansia. E poi ha questi cieli sereni con delle nuvole che si delineano in modo netto sullo sfondo dell’azzurro. È il mese senza dei, eppure mi pare sia uno dei mesi più abitati a livello spirituale».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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