La Nuova Sardegna

Maestri del giallo 

Nei vicoli le indagini per l’assassinio del prode Nuddadifà

Nei vicoli le indagini per l’assassinio del prode Nuddadifà

Per la quinta uscita della collana “Maestri sardi del giallo” sarà in edicola da domani con La Nuova Sardegna “Nuddadifà” di Nello Rubattu (a 7,50 euro più il prezzo del quotidiano), originariamente...

24 giugno 2021
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Per la quinta uscita della collana “Maestri sardi del giallo” sarà in edicola da domani con La Nuova Sardegna “Nuddadifà” di Nello Rubattu (a 7,50 euro più il prezzo del quotidiano), originariamente pubblicato nel 2015 dalla casa editrice cagliaritana Arkadia. Quando la vedova Sias, Peppina Cambizzosu, Giovannina Settipianti, Mariannina Fulghesu e Luigina la Dòzzi si presentano nell’ufficio della sua “Universale Investigazioni”, il cavalier Francesco Marras - che, è bene precisare a scanso di equivoci, «cavaliere non era neanche a balla di cannone» - tutto si aspetterebbe meno che l’incarico per cui vogliono assumerlo. Ovvero, scoprire chi ha ucciso Angelo Manca noto Nuddadifà, ritrovato pochi giorni prima senza vita «dalle parti dello stagno, nascosto sotto un macchione di chessa, con i piedi di fuori, pieno di mosche abbramite fino a dentro le mutande e la gola sperrata come un maialetto a Pasqua».

Quale sia la ragione di tanto interesse da parte del quintetto è presto detto: per loro, e per numerose altre donne del popolare quartiere da cui provengono, Nuddadifà era l’uomo ideale. L’esatto opposto dei rispettivi mariti, andati via chissà dove e chissà con chi, o già morti da chissà quanto. Per ognuna di esse Nuddadifà era «un giro di valzer, una canzone d’amore», il tipo «desiderato, da abbracciarselo quando ne sentivano la gana, dal quale farsi toccare, succià, desiderà, paipuzzà». Il tipo che alla chiamata rispondeva sempre “sì”. E siccome il morto era un mezzo disgraziato come loro, e poiché queste donne conoscono bene le cose della vita e sanno che a certi livelli non ci si danna l’anima per dare un volto all’assassino di un mezzo disgraziato, ecco la pensata: affidarsi al Cavaliere. Che della proposta non è esattamente entusiasta. Perché, con alle spalle una carriera da pugile, una (finita in modo miserabile) da poliziotto, una (durata pochissimo) da buttafuori, si è sì riciclato come investigatore privato, ma per occuparsi al massimo per affari di corna tra coniugi o giù di lì. Mettersi tra i piedi delle forze dell’ordine, con tutti gli ex colleghi pronti a coglierlo in fallo alla prima occasione utile, non gli pare davvero la migliore delle idee. E c’è poi da aggiungere che lui, il cavalier Marras, è uno che meno fa meno sente e meno vede, e meglio sta. In questo è un perfetto rappresentante della città in cui è nato e cresciuto e di cui coltiva «la vecchia arte», «strafottendosene di quello che in passato, al momento e al futuro, se ne stava succedendo in giro per il mondo. Perché del mondo non gli era mai sembrato di sentirne una vera esigenza. Si lasciava solo respirare e questo gli bastava».

Tutto farebbe supporre che Marras lasci la vedova Sias e compagne al loro destino, insomma, e invece quelle donne riescono nell’impresa di ricordargli non solo che un cuore ce l’ha ancora, ma anche che è un uomo «in servizio permanente effettivo contro le ingiustizie degli stronzi e a favore degli assàccarrati», specie se sono suoi concittadini. Le sorprese per l’investigatore privato, supportato dall’aiutante Zezé, non mancheranno: e niente di strano che dietro l’omicidio di Nuddadifà ci sia addirittura un traffico internazionale di rifiuti altamente pericolosi. Che c’entri qualcosa quel cargo battente bandiera straniera che, da mesi, staziona davanti all’industria petrolchimica della zona? Oltre che romanzo con al centro l’indagine condotta dal cavalier Marras, “Nuddadifà” di Nello Rubattu è il ritratto, dolceamaro, di una città, dei suoi abitanti, del suo ambiente sociale, del suo territorio. Una città che non viene mai nominata, ragion per cui non la si nominerà neanche in questa sede, ma che non si farà fatica a riconoscere, grazie ai tanti indizi e alla lingua del libro nella quale abbondano i termini dialettali. Una città che a un mondo “di sotto” - quello dell’anima popolare, che sopravvive nei vicoli in cui un tempo si giocava «a Ballocci o a Cirimella» vede contrapposto un mondo “di sopra”: quello delle consorterie, degli affari fatti con gli amici, dei silenzi interessati.

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