Yvonne Sciò: «Quanti pregiudizi verso di me che ho fatto Non è la Rai»
L’attrice è alla sua terza regia con un documentario che racconta l’audacia di cinque donne: Dacia Maraini, Emma Bonino, Sussan Deyhim, Tomaso Binga e Setsuko Klossowska de Rola
Sassari Scordatevi la ragazza di Non è la Rai, o l’attrice alle prime armi con Verdone e la Muti. O forse no, perché nella Yvonne Sciò di oggi c’è l’intero bagaglio di una vita. L’attrice è alla sua terza regia. “Womeness” è il film documentario che lei ha voluto dedicare all’audacia di cinque donne molto diverse tra loro: Dacia Maraini, Emma Bonino, Sussan Deyhim, Tomaso Binga e Setsuko Klossowska de Rola. Un lavoro pluripremiato che in questi giorni è al Filming Italy Sardegna di Santa Margherita di Pula, dove Yvonne Sciò ha ritrovato Fran Drescher, la mitica “Tata” del telefilm anni ’90, tra le protagoniste del suo secondo docufilm, “Seven women”.
Yvonne, come nasce questo suo terzo lavoro?
«Dopo “Seven women” mi continuavano a dire: bello, ma tutte americane. È vero che io sono mezza americana, ma quando te lo dice uno può passare, ma se iniziano a essere due, tre diventa un messaggio. E così ho iniziato a pensare a donne italiane della cultura, della politica».
Perché queste donne?
«Sono storie molto diverse tra loro. Sono donne che hanno fatto la storia d’Italia che non conoscevo. Di Dacia avevo letto i libri, di Emma ho seguito il percorso politico da quando ero ragazzina, ma a me premeva parlare della donna, della loro infanzia, delle loro nonne, del perché sono arrivate dove sono arrivate. Volevo mi raccontassero le loro cose più intime. Perché possiamo andare oltre il passato, ma il passato resta dentro di noi».
Maraini e Bonino sono conosciute al grande pubblico, per le altre il film è anche l’occasione per divulgare le loro storie.
«Sussan era la moglie di Richard Horowitz, uno dei miei migliori amici, un artista straordinario. Ho voluto che nel film ci fosse anche lui attraverso le sue note. Setsuko, ugualmente, la conosco benissimo da tanti anni: non è una femminista ma volevo avere nel film il suo punto di vista sulla donna».
Cosa accomuna queste cinque donne?
«Il coraggio. Hanno tutte combattuto rivoluzioni silenziose. Penso a Setsuko che arriva da una famiglia samurai rigidissima e che a 14 anni incontrò Balthus, 35 anni più grande di lei, e lo sposò. O a Sussan scappata dall’Iran se no le tagliavano la testa, e Tomaso, artista unica, che ha scelto un nome maschile».
Lei è coraggiosa?
«Lo sono, anche perché sono una grande lavoratrice. Se penso a quello che ho fatto questa settimana: il Nabucco a Verona, due giorni a Bologna dove ero in concorso al Biografilm, Max Mara alla Reggia di Caserta e ora qui in Sardegna. Amo la vita, sono curiosa e anche fortunata».
Questo è il suo terzo documentario. Ha sentito il pregiudizio nei suoi confronti?
«C’è sempre stato, c’è tutt’ora. In Italia c’è sempre questo vizio di incasellare le persone. Se fai la tv non puoi fare la regista. Se sei carina ti massacrano, se sei troppo grande vieni giudicata. Eppure i miei lavori, non lo dico io, sono bellissimi, venduti in decine di Paesi. Ma ormai ci ho fatto il callo. E Dacia Maraini ha detto sì alla ragazza che partita da Non è la Rai è arrivata qua».
Al Filming ha ritrovato Fran Drescher, che ha conosciuto sul set de “La tata”.
«Sono nella sua stanza ora (ride, ndr). Fran è una donna meravigliosa che amo molto, mi ha insegnato tantissimo. Nella vita è importante incontrare figure che ti possono ispirare e lei è stata tra queste: parrucchiera nel Queens, col marito ha creato la “Tata” e l’ha venduta in tutto il mondo, la lotta contro il cancro. Ha vissuto una vita in continua trasformazione. Non ha fatto una cosa ed è rimasta ferma là».
Ci sarà una nuova puntata sulle donne?
«Se la storia è giusta, perché no? C’è anche chi mi dice di fare la regista di fiction, film, ma chissà se sono capace. Io sento l’intuizione delle cose che voglio raccontare. La mia vita è sempre stata così. Non ho studiato all’università. La mia università è stata la vita, le persone che ho incontrato. Lasciai Non è la Rai per l’America. C’è chi mi dice che fu un errore, ma se non fossi andata in America non potrei raccontare le donne che racconto oggi. La vita è fatta di scelte, anche se mentre le fai non te ne accorgi».