La Nuova Sardegna

L'intervista

Ghigo Renzulli torna nell’isola: «Per essere rock non basta il look»

di Fabio Canessa
Ghigo Renzulli torna nell’isola: «Per essere rock non basta il look»

Doppio appuntamento a Sassari e Cagliari con lo storico chitarrista dei Litfiba

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Conosciuto come fondatore e chitarrista dei Litfiba, Ghigo Renzulli non ha smesso di fare musica dopo lo scioglimento del gruppo nel 2022 portando avanti un progetto strumentale già avviato durante la pandemia con la registrazione di un primo disco dal titolo “Cinematic”. Alla fine dell’anno scorso è così uscito “Dizzy”, secondo album da solista con il quale prosegue questa esplorazione musicale senza voce, presentato in un tour che adesso fa tappa nell’isola con un doppio appuntamento: il 17 ottobre al Teatro Civico di Sassari e la sera seguente al Fabrik Club di Cagliari. «È un disco strumentale – sottolinea Ghigo Renzulli – che non sottostà alle regole del mercato pop italiano, alla musica di oggi diventata mordi e fuggi. Pian piano lo si porta avanti, incontrando il pubblico in spettacoli come quelli che faremo in Sardegna».

Cosa significa per lei fare musica non cantata?
«Come compositore è un grande stimolo, si tratta di un’operazione più complicata rispetto a quella che facevo per i brani dei Litfiba dove magari bastavano un accattivante riff di chitarra, una bella apertura armonica e delle buone melodie. Poi con il testo toccava al cantante metterci l’interpretazione. La musica strumentale deve essere più ricca e raffinata, ci vuole un grande arrangiamento perché catturare chi ascolta è più difficile. Bisogna trasmettere emozioni con l’armonizzazione, i cambi musicali, le atmosfere».

Quali sono le maggiori differenze tra questo disco e il precedente album strumentale?
«Il primo l’ho registrato nel mio studio a casa, eravamo in piena pandemia, e si intitola “Cinematic” perché presenta diversi rifacimenti di colonne sonore famose. “Dizzy” è un’evoluzione di questo percorso strumentale e si basa su varie correnti musicali»

Il titolo “Dizzy” perché? 

«In inglese significa vertiginoso, l’aggettivo che mi sembrava più adatto per definire il viaggio musicale proposto con il disco. È un caleidoscopio di colori, di influenze di tutta la mia vita. Io ho iniziato con il blues, da ammiratore di B.B. King, e poi sono passato al country e al folk per approdare al rock. Dentro ci sono queste ispirazioni, anche qualcosa di jazz e metal. Tutte le cose che mi piacciono, insomma. Al di là del genere, mi interessa la musica fatta bene. A casa ho un’ampia collezione di dischi che va da Domenico Modugno e Fred Buscaglione e arriva fino ai Sepoltura».


Con i Litfiba avete fatto la storia del rock italiano e non solo. Come vede oggi il panorama e lo stato di salute del genere?
«Non molto bene. Mi sembra sia diventato un po’ chiacchiere e distintivo per citare la famosa frase del personaggio interpretato da Robert De Niro nel film “Gli intoccabili”. Si pensa che per essere rock basta avere il look in un certo modo e fare le linguacce. Invece non è così. Il rock è un’altra cosa, un modo di essere, di vivere la vita, non di atteggiarsi. Oggi si fa fatica a trovare nuove realtà giovanili che davvero portino avanti il rock. Ce ne sono, ma poche. A livello internazionale posso dire che mi piace molto il gruppo messicano, tutto al femminile, The Warning».

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