La Nuova Sardegna

L’intervista

«Basta con il Pasolini martire, riscopriamolo nella sua opera»

di Paolo Ardovino
«Basta con il Pasolini martire, riscopriamolo nella sua opera»

Lo studioso Paolo Desogus, a cinquant’anni dalla morte dell’intellettuale, presenta a Sassari il libro “In difesa dell’umano”

3 MINUTI DI LETTURA





La scoperta di Pier Paolo Pasolini fu dal divano di casa, a Villamassargia, in una giornata di febbre passata davanti alla tv. Ora Paolo Desogus è uno degli studiosi più lucidi di Pasolini – meglio, della sua opera – dalla cattedra della Sorbonne di Parigi e attraverso le pagine dei suoi libri. Come l’ultimo “In difesa dell’umano” (La nave di Teseo) che presenterà stasera a Sassari insieme ad Alessandro Cadoni, alle 18 al Cityplex moderno. L’appuntamento rientra nella serata-evento organizzata dal festival “Pensieri e parole”. Dopo il dialogo, verranno proiettati “La ricotta” e “Il vangelo secondo Matteo”. Le cifre tonde favoriscono certi discorsi. Quello sulla produzione poetica, cinematografica, saggistica, artistica di Pier Paolo Pasolini torna in occasione del cinquantenario dalla tragica morte, assassinato la notte tra primo e 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia.

Per cominciare mi parla del suo personalissimo Pasolini?

«Mi ci sono avvicinato per caso. Nel 1997 la Rai, era la Rai di Enzo Siciliano, aveva dedicato un'intera giornata a lui, in televisione dalla mattina alla sera avevano trasmesso film, documentari, interviste. Io quel giorno ero malato, perciò stavo a casa, davanti alla tv. E l'ho scoperto così. Poi in casa mio padre aveva gli “Scritti corsari” quindi sono andato in libreria e da lì ho cominciato a leggerlo».

Cosa ci resta di quel grande intellettuale? Dopo mezzo secolo cosa rivede, di lui, nella nostra società?

«Sono pessimista. Fa riflettere il fatto che oggi sia diventato paradossalmente un oggetto di consumo. Lui la criticava, e sta subendo oggi la vendetta dell'industria culturale, che lo ha depotenziato e ne ha neutralizzato il messaggio politico e culturale. Cosa ci resta? Un'ombra, qualcosa che è sganciato dalla storia in atto, dalla lotta politica. Mentre proprio lui ha molto insistito sull'idea di porsi sempre in contraddizione».

Quindi abbiamo una visione che è stata distorta.

«Il Pasolini di oggi è conciliato col nostro tempo, lo rende apparentemente vicino. Ma è un Pasolini estetico, non etico e politico».

Ci guidi alla riscoperta di un autore così vasto. Innanzitutto si può scindere il poeta dal regista e dall'intellettuale o è un esercizio inutile?

«Da studioso ho seguito l'idea di Fortini, dice che è un autore da opere complete, forse anche polemicamente. A ogni modo, credo vada studiato e attraversato tenendo in connessione i vari ambiti. Se mettiamo a confronto l'opera poetica e cinematografica, in entrambe concepisce l'atto artistico come forma di scrittura, e la teorizza in modo molto simile. E la sua scrittura è un atto di necessità, sempre una presa di coscienza che chiama in causa gli aspetti politici della società. Studiarla per lui è indispensabile per capire come scrivere».

E invece che significato assume la sua morte? Alfonso Berardinelli ha fatto addirittura un paragone con Majakovskij e Garcia Lorca...

«È stato impedito a un grande intellettuale di continuare a parlare. Se è avvenuta per cause diverse da quelle ufficiali non importa, è successo che un grande intellettuale ha smesso di parlare. Questo è l'unico grande significato simbolico. Purtroppo il senso è stato diminuito perché anche la trasformazione in un martire gli va contro: mette al centro il personaggio e in disparte l'opera. L'idea martirologica è un male. Sarebbe un bene rimettersi nella traiettoria della sua scrittura e attività intellettuale».

Un'opera per riscoprire Pasolini?

«Inizierei dalla poesia, dalle “Ceneri di Gramsci”».

Il suo libro è una "Difesa dell'umano", in che senso?

«Cerca di smentire l'idea di un autore irrazionale, estetico, pulsionale, e restituire razionalità. Non quella fredda e sterile, ma che ha come primo riferimento il Leopardi dell'ultrafilosofia. Razionale ma capace di mettersi in discussione e che estende lo sguardo a dimensioni frammentarie, a ciò che sta fuori dall'orizzonte culturale. Capace di coniugare universale e singolare. La difesa è verso una razionalità umanistica, e non quella che annulla l'essere umano dentro finte maglie logiche; l'umanesimo che sa interrogare la precarietà dell'essere umano».

Primo piano
Il caso

Minacce di morte, spray sui muri: «Devi lasciare il galoppatoio»

di Luca Urgu
Le nostre iniziative