La Nuova Sardegna

La musica in lutto

Paolo Fresu: «Addio Ornella, eri l’emozione della vita. Te l’avevo promesso: suonerò al tuo funerale»

Paolo Fresu: «Addio Ornella, eri l’emozione della vita. Te l’avevo promesso: suonerò al tuo funerale»

Il musicista ricorda Ornella Vanoni, amica, collega, con lui in tanti momenti: «Il mondo ha perso una voce unica»

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Il musicista Paolo Fresu, a poche ore dalla scomparsa di Ornella Vanoni, parla della straordinaria cantante, amica, collega, protagonista di mille ricordi con lui.

Scrivi qualcosa, domando a me stesso in questa vuota mattina di novembre. E sono qui a buttare pensieri sparsi in un foglio word pensando al nostro primo incontro al Tangram di Milano nei primi anni Novanta e a quante volte abbiamo riso, pianto, cantato e suonato in questi trent’anni. Quasi impossibile parlare di Ornella. Impossibile tratteggiare una vita ricca fatta di successi e di trionfi, di cadute, ascese e passioni. Scrivi qualcosa, ma cosa? Forse il modo migliore è quello di trovare degli aggettivi. Degli screenshot contemporanei che siano capaci di tradurre l’immaginifico nell’immaginario collettivo del suo essere donna e artista che, sa sempre, appartiene a tutti noi. Ornella è l’emozione della vita. La sua e la nostra. Capace di mettere al centro del mondo la solitudine e la passione, l’amore per stessa e per il prossimo, il pathos e la poesia che salverà (forse) il mondo. Una donna sfuggente che abborriva l’ovvietà e il banale. Un’artista che ha frantumato il sottile equilibrio tra arte e vita e che ha fatto del palcoscenico la sua casa dove ospitare e dispensare i sentimenti umani.

L’orologio annuncia che è l’ora di partire per Milano. Salvo questi pochi pensieri e spengo il computer conscio di non essere riuscito a scrivere ciò che avrei voluto. Ad esempio che tremava come una foglia prima di salire sul palco che poi affrontava come una leonessa. Oppure delle telefonate settimanali con la sua voce inconfondibile che iniziavano sempre con «come Va?» o quelle con mia madre o con mia moglie Sonia.  E ancora il suo spogliare con lo sguardo le persone che non le piacevano così da metterle in difficoltà, il concerto dato a titolo solidale nel cortile nelle scuole Pavese dove mio figlio frequentava le Elementari o il concerto nel prato della casa di Fabrizio de André alle sei del pomeriggio dove lei, scalza, disse «non mi è mai capitato di cantare a merenda».  Nel maggio del 2020, davanti alla stessa scuola di mio figlio, mi chiese al telefono di suonare al suo funerale. In quella luminosa mattina si è saldata ancora di più la nostra amicizia fino a quando, poco tempo fa, mi ha chiesto di essere accompagnata per mano al conferimento della Laurea Honoris Causa.

Ora sono su un Frecciarossa che sfreccia nella nebbia padana. Riapro il computer rendendomi conto che bisognerebbe scrivere ancora ma i pensieri sono troppo affollati. Forse bisognerebbe semplicemente volare tra le parole e nel ricordo della sua musica tra Brecht e Vinicius, Tenco, Fossati e Paoli. Ornella ha volato tutta la sua vita. A volte bruciandosi le ali ma sempre rialzandosi e librandosi sempre più in alto. Esattamente come noi facciamo tutte le volte che ascoltiamo la sua voce meravigliosa e inconfondibile. L’ultima volta è accaduto a Bologna nel mese di marzo quando, in “The Man I Love” arrangiata da Celso Valli, sembrava Billie Holiday. Mentre entro in Centrale a Milano, la sua città, ripongo il computer nello zaino certo di non essere riuscito nel mio intento. So solo che il mondo ha perso una voce unica che risponde, come Raffaello, Miles e Vinicius, a un unico nome: Ornella. (paolo fresu)

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