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la cellula olbiese

Al Qaeda, resta in cella Sultan Khan La Cassazione: è ancora pericoloso

di Giampiero Cocco
Al Qaeda, resta in cella Sultan Khan La Cassazione: è ancora pericoloso

OLBIA. La Corte di Cassazione ha sprangato con doppia mandata la porta della cella di massima sicurezza dov’è detenuto Wali Sultan Khan, il commerciante pachistano accusato d’essere a capo della...

25 novembre 2015
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OLBIA. La Corte di Cassazione ha sprangato con doppia mandata la porta della cella di massima sicurezza dov’è detenuto Wali Sultan Khan, il commerciante pachistano accusato d’essere a capo della cellula della Jihad islamica legata ad Al Qaeda, la falange italiana del terrorismo con sede a Olbia.

I giudici della suprema Corte hanno rigettato il ricorso del legale del presunto capo dei terroristi pachistani, l’avvocato Luca Tamponi di Olbia, ritenendo l’uomo pericolosissimo e più che fondati, legittimi e gravemente indizianti «la notevole massa di intercettazioni telefoniche ed ambientali, assieme ai flussi telematici e l’accertata presenza, attraverso tali fonti di prova, della presenza dell’indagato il giorno dell’attentato terroristico di Peshawar». Un terrificante attentato messo in atto nel mercato Meena Bazar il 20 ottobre del 2009 che fece una strage tra uomini, donne e bambini che affollavano la piazza. Quell’attentato terroristico, stando alle pesantissime accuse mosse dalla Dda di Cagliari sarebbe stato progettato a Olbia, nel “covo” di Wali Sultan Khan. Nel blitz della polizia di stato dell’aprile scorso finirono in cella, con Sultan Khan, altri nove presunti terroristi di origine pachistana e siriana, compreso l’imam della moschea integralista di Bergamo, Hafiz Muhammad Zulkifal, il religioso che ha esultato, nella cella di Rossano Calabro, nell’apprendere dell’attacco terroristico di Parigi. I nove imputati e altri undici pachistani (attualmente irreperibili) saranno processati, con rito immediato, il 16 dicembre prossimo al tribunale di Sassari per una lunghissima serie di reati che vanno dalla strage all’omicidio, compresa l’immigrazione clandestina e la detenzione illegale di armi ed esplosivi. «La difesa di Wali Sultan Khan non può – hanno scritto i giudici della Suprema corte nelle motivazioni della sentenza depositate ieri – dolersi della mancata considerazione delle prove presentate in merito alla personalità dell’indagato descritto come buon padre di famiglia, impegnato nel volontariato solidale verso i suoi connazionali, generoso e collaborativo con le autorità italiane». Contro di lui, dicono i giudici del Palazzaccio, la sede della Corte di Cassazione «si evidenza una personalità ben diversa, intrisa del più abbietto integralismo religioso, costantemente tesa a lucrare in una infaticabile attività illegale di favoreggiamento della immigrazione clandestina, sensibilissimo alla lezione fondamentalista ispirata dall’imam Hafiz Zulkifal, forse il più integralista del gruppo, lucidamente proteso all’appoggio e al finanziamento di un movimento crudele, in guerra con mondo civile, intollerante di ogni diverso opinare al di fuori di quello folle del suo capo». La Suprema Corte, che ha definito oggettivamente debole la tesi difensiva sull’incensuratezza e il quieto vivere dell’uomo negli ultimi 3 anni, considera Wali Khan pericolosissimo. «L’essere stato un militante di Al Qaeda, come ipotizzato con qualche ragione indiziaria dalla pubblica accusa rende il ricorrente espressione tipica, nei suoi livelli più elevati, della pericolosità sociale, la sua nazionalità straniera ed i comprovati contatti con funzionari corrotti del suo Paese e con attivisti del fondamentalismo islamico illuminano intensamente il pericolo di fuga logicamente e correttamente palesato dai giudici di merito». Il pericolo di fuga e la pericolosità, infine, «evidenziano al di là di ogni ragionevole dubbio – conclude la Corte – che l’unica misura adeguata alla persona ed alla sua storia passata e presente è quella massima consentita dall’ordinamento».

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