La Nuova Sardegna

Un altro caso di abusi

Una 36enne sassarese sulla nave Grimaldi: «Scappai da quell'uomo e riuscii a salvarmi»

di Nadia Cossu
Una 36enne sassarese sulla nave Grimaldi: «Scappai da quell'uomo e riuscii a salvarmi»

L’incubo di una donna, l'episodio risale al 2018: «Uno della reception mi portò in una sala vuota, mi molestò e mi impedì di uscire»

23 marzo 2024
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Sassari Ancora oggi, che sono passati sei anni da quell’episodio che l’ha irrimediabilmente segnata, è convinta che a salvarle la vita sia stata un’infallibile intuizione. Anche se lei preferisce chiamarlo “pregiudizio”. «Avendo vissuto per un po’ di tempo in Campania – racconta una 36enne sassarese vittima di un terribile caso di molestie sulla nave Grimaldi nel 2018 – ho avuto modo di capire che da quelle parti giurare sulla propria madre è sacro. Non puoi tradire quell’impegno». Presa dal panico, trovandosi quell’uomo – che lavorava nella reception – a bloccarle l’uscita da una sala poltrone deserta, gli aveva detto: «Ti giuro su mia madre che vado a prendere una boccata d’aria perché mi manca il respiro e poi torno». Lui, dopo una piccola esitazione, si era scansato: «E così sono fuggita come un fulmine. E mi sono salvata».

Dopo gli ultimi articoli pubblicati sulla Nuova Sardegna che hanno raccontato casi di molestie ad opera del personale di bordo nei confronti di alcune ragazze, continuano ad arrivare segnalazioni di altre vittime. Alcune recenti, altre più datate.

Come quest’ultima. Il che spinge a fare una constatazione: da anni accadono episodi di violenze sulle navi nel silenzio più totale. Spesso, infatti, si ha paura di denunciare e le compagnie di navigazione non possono prendere provvedimenti: «Avrei tanto voluto farlo – ha raccontato quest’ultima donna – ma all’epoca non ho purtroppo trovato chi mi supportasse». E oggi, a distanza di tempo, la 36enne sta ancora seguendo un percorso psicoterapeutico per superare il trauma.

«Tutto è successo nella tratta Civitavecchia-Porto Torres-Barcellona – spiega – io all’epoca lavoravo fuori dalla Sardegna e stavo rientrando a casa. Non avendo soldi a sufficienza per la cabina ho acquistato un passaggio ponte, stremata ho fatto un giro nella sala poltrone ma erano tutte occupate e allora mi sono adagiata su una panchina di pietra, davanti alla reception. Un dipendente mi ha visto e mi ha detto che lì non potevo stare, per una questione di decoro, mi sono scusata e lui si è offerto di trovare un posto in un’altra sala. Mi sono fidata, aveva più o meno la mia età e soprattutto non mi sembrava un malintenzionato. Così l’ho seguito, era alto almeno un metro e novanta, moro e possente con un marcato accento napoletano. Abbiamo attraversato la sala poltrone dove precedentemente ero passata e ho visto che tutti dormivano, siamo usciti all’esterno per raggiungere il ponte e la stanza laterale era la sala che lui mi aveva indicato come disponibile. Era vuota! Mi sono seduta e lui, anziché andare via, si è fumato una canna. Mi ha anche chiesto se ne volessi e gli ho risposto di no e che volevo solo riposare».

Una risposta che l’uomo non deve aver gradito perché dopo qualche istante la giovane se lo è trovato seduto accanto: «Ha iniziato a mettermi le braccia sul collo, dicendomi che nessuno lì ci avrebbe visto, gli ho detto che ero fidanzata sperando di scoraggiarlo ma lui non si fermava. A quel punto mi sono alzata di scatto per andare verso l’uscita ma lui mi si è piazzato davanti. Sono stati momenti terribili e davvero ho pensato che per me fosse finita. Gli dicevo di spostarsi ma non lo faceva. Poi Dio, il Fato, chiunque esista al di sopra di noi ha fatto sì che in quel momento sul ponte ci fosse una coppia col cane. Li guardai cercando di incontrare i loro occhi per trasmettergli la mia paura. Mi videro e anche lui si rese conto della loro presenza. Fu allora che lo pregai di farmi prendere una boccata d'aria, mi disse di no. E allora mi venne in mente il forte attaccamento dei napoletani alle madri e usai quello stratagemma. Scappai e mi nascosi nella sala poltrone accanto a un uomo che dormiva. Mi misi il cappuccio, mi camuffai il più possibile e trattenni il respiro quando lui passò senza fortunatamente riuscire a vedermi. Quella notte non ho chiuso occhio e per due anni non ho più viaggiato in nave. Poi ho ripreso, adottando delle strategie: struccata, trasandata e solo in cabina. Ma nemmeno così mi sono mai più sentita davvero al sicuro. Oggi ho trovato la forza di raccontare tutto».


 

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