Nelle grotte dell’isola, la foca monaca tra realtà e leggenda
Il mammifero frequentava la costa ogliastrina negli ultimi anni solo qualche avvistamento
È il nostro mostro di Loch Ness. Ma solo perché attorno ne è nata una leggenda che fa parlare da decenni e puntualmente ci sono avvistamenti che danno speranza salvo poi essere smentiti. Certo, le similitudini poi finiscono qui. Perché rispetto alla creatura scozzese, la foca monaca è un mammifero dall'aspetto così dolce, con occhi curiosi e baffoni al seguito. E poi perché la foca monaca, da queste parti, fino a un po’ di tempo fa c'è stata davvero. Eccome. Basta chiedere ai pescatori dell'Ogliastra, che per tutto il Novecento hanno convissuto con le foche tra le acque di Cala Gonone. Nella costa est della Sardegna, praticamente l'unica frequentata dai mammiferi ora a rischio estinzione, le grotte ogliastrine sono sempre state il rifugio prediletto.
Il segno del passaggio stabile delle foche monache ce lo restituiscono oggi alcuni toponimi popolari rimasti nel tempo. La grotta del Bue Marino, al centro del golfo di Orosei, battezzata così proprio per il soprannome dato a quell'animale marino, così mite da sembrare un bue. L'ultima frequentazione assidua delle coste sarde è attestata dagli studiosi attorno agli anni '80. Quando dalle parti di Cala Gonone, ma anche su fino alla Gallura, nelle acque nuotavano poche decine di foche monache. Poi le cose sono cambiate. «Buffa e simpatica, è una delle specie di foca più rare e l’unica presente nel Mediterraneo — così è descritta dal Wwf —. È considerata una delle 100 specie di mammiferi più minacciati al mondo. Può raggiungere i 2,5 metri di lunghezza e i 300 kg di peso». L'organizzazione mondiale che si occupa della conservazione della natura aveva provato negli anni '70 a istituire un gruppo per la tutela del mammifero. Oggi però i numeri sono esigui. Tra le coste portoghesi, nordafricane e a oriente, anche se si continuano a segnalare avvistamenti, negli ultimi anni, nel Tirreno e nell'Adriatico, restano meno di 700 esemplari. «Nel Mediterraneo, è stata oggetto di costante ostilità da parte dell’uomo e in particolare dei pescatori che, in passato, vedevano in lei un acerrimo competitore — così spiega il Wwf —. Ciò ha favorito l’attuale comportamento estremamente schivo e diffidente di questa specie. Un tempo veniva cacciata anche per le pelli e il grasso, che veniva trasformato in olio. In tutto il Mediterraneo è molto rara e in declino numerico anche a causa del disturbo da parte del turismo nei siti di riproduzione, soprattutto con le imbarcazioni da diporto. In alcune aree resta il problema della persecuzione con uccisione illegale e la cattura accidentale con le reti da pesca».
A Cala Gonone e zone limitrofe erano circa 40 le specie certificate che vivevano, mangiavano e si riproducevano tra il mare aperto e le grotte. Più di cinquant'anni fa i primi studi vennero condotti da padre Antonio Furreddu, sacerdote di Baunei che passò alcuni giorni a diretto contatto con i mammiferi nella grotta del Fico. Gli esperti scientifici tendono a diffidare dalle teorie di un ritorno stabile della foca dalle parti della Sardegna. In proposito, intervistato dalla Nuova, si era detto del tutto scettico uno degli ultimi conoscitori diretti di foche monache, Nino Romano, pescatore 82enne dorgalese di adozione ma ponzese di nascita. «Ma non scherziamo! Quella non può essere una foca. Ho visto il video. I movimenti, il colore. No, la foca è tutta un’altra cosa», aveva detto. Poi però ci sono studi, come quello promosso da One ocean foundation pubblicato nel 2023, dal titolo poco interpretabile: “La foca monaca è tornata in Sardegna”. Questo secondo rilevamenti nel Canyon di Caprera che sembrerebbero aver registrato passaggi dei mammiferi per alimentarsi.
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