La Nuova Sardegna

L’intervista

Alessandro Sallusti: «Quando Cossiga mi chiamò: “Non menta, ha una relazione clandestina con la Santanchè?”»

di Alessandro Pirina
Alessandro Sallusti: «Quando Cossiga mi chiamò: “Non menta, ha una relazione clandestina con la Santanchè?”»

Il direttore de “Il Giornale” a tutto campo su governo, opposizione e Quirinale

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L’Italia è sempre stata un Paese moderato, ultimamente anche qualcosa di più. E anche le poche volte in cui la sinistra è andata al governo ha dovuto sterzare verso il centro. Eppure Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale”, in questo Paese dice di sentirsi un eretico. Un eretico liberale, per la precisione. E a questa sua condizione ha dedicato un libro edito da Rizzoli, “L’eresia liberale”, che oggi presenterà a Porto Rotondo e domani a Porto Cervo.

Sallusti, in un Paese governato per 50 anni dalla Dc e per venti da Berlusconi come fa a definirsi un eretico?

(ride). «Questo è sicuramente vero. Il Paese reale è qualcosa di diverso dal paese virtuale dal punto di vista dell’egemonia culturale, intellettuale. Nel secondo paese, quello che si racconta, i liberali e i conservatori non avrebbero diritto di esistere. Se non sei di sinistra sei sospettato di essere fascista. Quando in realtà la destra, il conservatorismo sono una cosa bene diversa dal fascismo. Si racconta da sempre che il Paese è stato liberato dai comunisti, ma tra i partigiani c’erano anche le brigate bianche, addirittura i monarchici. La storia non è andata come è stata raccontata. Se non sei fascista sei servo: di Berlusconi, di Meloni, di Salvini. Se lavori al Giornale sei servo, se lavori a Repubblica sei un uomo libero...».

La destra italiana ha fatto i conti con il fascismo?

«In Italia c’è quella ferita ma è stata sanata. La destra esisteva prima e dopo la deriva dal fascismo. Quella pagina è chiusa, malgrado ci sia ancora qualche fanatico nostalgico. Ma come ci sono i nostalgici che sperano nel ritorno delle Brigate rosse. Il fascismo è durato venti anni, il nazismo ancora meno, mentre le scorie del comunismo le vediamo ancora oggi. A nessuno però viene in mente di chiederne conto alla Schlein. Allora perché mettere la strage di piazza Fontana nel conto della Meloni?».

Ma perché la destra italiana appare così diversa dalle destre - non quelle estreme - europee?

«Quale sarebbe la destra estrema? Berlusconi era il più convinto antifascista che esistesse: a lui i fascisti stavano letteralmente sui coglioni. Il vero Berlusconi è quello di Onna, è lì che si è palesato il leader della destra liberale. E conservatrice. Che mica significa estremista, pericolosa. I conservatori hanno fatto l’Europa, penso a Churchill, De Gaulle. Poi si va sempre a Ventotene ma i grandi trattati europei li hanno fatti i liberali».

Berlusconi è stato l’ultimo liberale?

«È stato l’ultimo liberale che ha provato a fare diventare questo Paese una democrazia liberale, ma non ci è riuscito. È vero che oggi c’è un governo di centrodestra, ma restiamo un Paese illiberale, statocentrico, paralizzato dalla burocrazia e dalla nomenclatura statale. Berlusconi ha provato a fare questa grande rivoluzione, ma senza riuscirci. Di questo ne ho parlato con Giorgia Meloni nel libro che abbiamo scritto insieme. Lei ha in testa qualcosa di simile, ma ha detto chiaramente che per cambiare il Paese ci vogliono almeno dieci anni. Lo sostiene anche Tony Blair».

Un liberale può sostenere Trump?

«Non abbiamo ancora capito e chi cosa vuole fare. Al netto dei modi che sono molto americani, e anche bizzarri, bisogna capire dove vuole andare. Un liberale dovrebbe essere a favore della globalizzazione, via i dazi, via le frontiere. Ma dopo quasi 25 anni di processo di globalizzazione si scopre che le autarchie si sono rafforzate. Invece, le democrazie si sono indebolite: vuole dire che qualcosa non funziona. Dunque, se questo casino è funzionale a riequilibrare la geopolitica e riportare l’Occidente al centro dei giochi, allora ben vengano i sacrifici. Se viceversa Trump vuole fare solo e soltanto gli interessi dell’America allora è poco interessante per un liberal conservatore».

Ieri era il 15esimo anniversario della morte di Francesco Cossiga.

«Uno dei pochi statisti che abbiamo avuto. È stato il primo e ultimo presidente a usare lo strumento più nobile, ovvero la lettera presidenziale al Parlamento. Nel 1991 aveva individuato con trent’anni di anticipo i problemi che ci troviamo ad affrontare oggi».

Ha ricordi personali di Cossiga?

«Avevamo un bellissimo rapporto che nacque da una telefonata. Io non ci avevo mai parlato. Mi chiamarono dal centralino del Quirinale: “la vuole il presidente”. Me lo passano. “Sallusti, lei sa che mentire a un presidente della Repubblica può costituire reato? Ora le faccio una domanda secca: risponda sì o no. È vero che ha una relazione clandestina con Daniela Santanché?”. Da lì è nato un rapporto andato avanti per anni, lo volli anche a Libero dove firmava con lo pseudonimo Franco Mauri».

Chi stima a sinistra?

«Ho migliori rapporti con quelli di sinistra che con quelli di destra. Bersani, per esempio, è una persona molto interessante. Il paradosso è che le uniche riforme veramente liberali in questo Paese le ha fatte la sinistra: Bersani e Renzi, due signori di sinistra».

Chi vincerà le elezioni del 2027?

«Se si andasse a votare oggi rivincerebbe Meloni. Lo spero, e non solo perché appartengo a quella corrente di pensiero. Ma perché qualora questa sinistra andasse al governo sarebbe il caos. Vediamo cosa succede da qui a due anni. Ma secondo me per compiere quel processo che Meloni ha in mente manca una casella: entrare in sintonia politica con il Quirinale. Il centrodestra non ha mai avuto la fortuna di avere la maggioranza quando c’era da eleggere il capo dello Stato. Se il centrodestra riuscisse a incrociare il presidente della Repubblica il progetto riformista nei uscirebbe avvantaggiato».

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