L’omaggio dei Tazenda a Pippo Baudo: «Il suo intuito ci aprì le porte di Sanremo»
Gino Marielli: «Era il genio dell’audience e amava la voce di Andrea Parodi»
Sassari «Pippo Baudo è uno delle persone a cui come Tazenda ci sentiamo di rivolgere un grazie per l’impatto che avuto nella nostra carriera». Con queste parole Gino Marielli ricorda il conduttore scomparso ieri, colui che nel 1990 li portò al grande pubblico attraverso la trasmissione Gran Premio. Un passaggio decisivo nella storia della band sarda. «Noi nasciamo come gruppo alternativo, quasi da garage – racconta – con un rock in limba. Eravamo diffidenti verso la tv generalista. A convincerci fu un amico, Giovanni Leonardi, che ci iscrisse al concorso. Non eravamo convinti: avevamo trent’anni e ci siamo detti che forse non facesse per noi stare in mezzo a tanti ragazzini. Poi abbiamo pensato che non avevamo nulla da perdere». Dalle selezioni di Cagliari alla trasmissione Rai il passo fu breve. Lì incontrarono Baudo e l’autore Sergio Bardotti. «Appena arrivati capimmo che Pippo aveva un debole per noi. Amava la voce di Andrea Parodi, il nostro modo selvaggio di stare sul palco, i brani più folk che portammo a Gran Premio come Carrasecare e No Potho Reposare». Marielli ricordo un episodio che riguarda proprio Carrasecare. «Avevamo girato un videoclip con gli altri concorrenti che tra l’altro esprimeva bene il clima di amicizia che si respirava in quella trasmissione, ma il regista non voleva mandarlo in onda perché “inficiava la gara”. Andrea, con la sua faccia tosta, andò da Baudo. Pippo si entusiasmò e lo propose come sigla fuori concorso. Anche quello è un esempio del suo formidabile intuito».
E il grande intuito di Baudo è stato utile anche per il successo sanremese dei Tazenda. «Subito dopo Gran Premio disse ad Aragozzini, che era il suo manager ma anche il patron di Sanremo: “Questi ragazzi devono andare al Festival”. Così salimmo sul palco con Pierangelo Bertoli ed andò come tutti sappiamo, e l’anno successivo tornammo con Pitzinnos in sa gherra. Baudo, che quell’anno era il conduttore del festival difese persino l’introduzione lunga e complessa del brano. Alcuni anni dopo invece non ci prese a Sanremo perché i pezzi non lo convincevano. Uno gli sembrava troppo politico, un altro lo giudicò una “marcia zoppa” in 7 quarti». Il chitarrista dei Tazenda sottolinea un dettaglio poco noto: «Aveva l’orecchio assoluto. Riconosceva gli accordi al volo. Non era solo un presentatore, ma un musicista vero. E in scena aveva dentro di sé il “dio dell’audience”: prevedeva cosa potesse annoiare il pubblico e come tenerlo incollato allo schermo». Durante le prove dispensava consigli a tutti. «A noi non impose mai nulla. Diceva che Andrea era “brutto che buca lo schermo”, e aveva visto giusto». La notizia della morte li ha raggiunti sabato in camerino a Valledoria, poco prima di un concerto. «Ce l’ha detto mio figlio. Abbiamo deciso subito di dedicargli Carrasecare, forse il brano nostro che amava di più». Per Marielli resta un ricordo forte: «A tutti dava una botta iniziale, un imprinting che ti segnava. Amava più lanciare qualcuno che seguire poi il suo percorso nel proseguo della carriera. A noi ha fatto capire che, oltre alla musica, contava l’impatto visivo. Eravamo tre facce diverse, Andrea aveva un carisma unico. Lui ci ha permesso di uscire dal garage e farci conoscere davvero dal pubblico ed è per questo che ci sentiamo di ringraziarlo».