Rula Jebreal: «A Gaza è in atto un genocidio, ma l’Occidente chiude gli occhi»
La giornalista a Porto Rotondo per presentare il suo libro
È stata tra le prime a denunciare la tragedia di Gaza, ma soprattutto la prima a parlare di genocidio. Rula Jebreal, giornalista, scrittrice e opinionista globtrotter in tutti i 5 continenti, esperta di politica internazionale, in questi anni si è fatta portavoce del dramma del popolo palestinese. Jebreal ha sempre condannato le atrocità commesse da Hamas, la strage del 7 ottobre, ma allo stesso tempo, fin da subito, ha accusato il governo israeliano di terrorismo di Stato e crimini di guerra. Una posizione all’inizio quasi isolata che ormai è diventata maggioritaria nell’opinione pubblica. Oggi 5 settembre la giornalista palestinese naturalizzata italiana, sarà a Porto Rotondo per presentare il suo libro, non a caso intitolato “Genocidio”, edito da Piemme. Appuntamento alle 20 allo Yacht club all’interno del Portorotondo festival, organizzato dalla associazione giovani Portorotondo, presieduta dall’avvocato Sergio Deiana.
Rula, lei è stata tra le prime a usare la parola genocidio, ora quella parola è stata purtroppo sdoganata perché quanto accade a Gaza è sotto gli occhi di tutti. Cosa prova in questo momento?
«Questo è un genocidio israeliano, sostenuto dall’Europa e armato dagli Stati Uniti. Per me era prevedibile e prevenibile. Da cinque anni insegno all’università di Miami, e tengo un corso che si intitola “propaganda e genocidio”. Fin dall’ottobre 2013 giuristi ed esperti di genocidio avvertivano del rischio che a Gaza si perpetrasse quel crimine. Nel marzo del 2023 un esperto dell’Onu, Michael Barnet, ha scritto un rapporto sui paesi a rischio di genocidio, la Palestina era tra quelli. Nel maggio del 2023 sono andata con un gruppo di diplomatici israeliani, americani e palestinesi al Parlamento europeo, dove abbiamo cercato di ammonire l’Unione Europea del rischio di genocidio, ma hanno ignorato totalmente il nostro avvertimento. Ora è come se si fosse rotto un argine e finalmente se ne parla. Ma quante occasioni sono state mancate per dire la verità! E per dirla per tempo».
Scrivere questo libro è stata una necessità?
«Questo è il libro della mia vita. Da palestinese, italiana e americana per me è palese che il genocidio israeliano prevede come tappa iniziale lo sterminio di tutta Gaza e che la fase successiva sarà nella Cisgiordania occupata. Nessuno dei 7 milioni di palestinesi che vive sotto la dittatura militare israeliana è al sicuro. Ma l’urgenza che mi ha spinto è che non sono solo i palestinesi a rischiare, anche se sono purtroppo in prima fila: sono il diritto internazionale e la dignità stessa dell’Occidente a correre un pericolo mortale. Se non agiamo adesso con decisione, avremo molto di cui pentirci».
Lei ha capito prima di altri che la situazione stava volgendo verso uno dei più grandi drammi dell’umanità o altri hanno preferito non vedere?
«I governi occidentali sanno benissimo che Israele sta commettendo un genocidio coloniale, ma chiudono colpevolmente gli occhi. Eppure, basta guardare le immagini dei satelliti, i video che emergono tutti i giorni. L’abisso morale e politico ha toccato vette mai viste dalla Seconda guerra mondiale. E all’orrore si aggiunge il ridicolo. Mentre l’Italia continua a vendere armi a Israele, il ministro degli Esteri italiano si vanta di aver regalato la pimpa a pochi bambini palestinesi. L’unica speranza sono ora le opinioni pubbliche e la società civile».
Davanti a quanto sta accadendo a Gaza vede differenze nelle posizioni dell’Occidente?
«Ci sono lodevoli eccezioni: l’Irlanda in primo luogo, ma anche la Spagna, la Norvegia e la Slovenia, e ora anche il Belgio. Ma urge un’opposizione unitaria. Urge imparare la lezione dalla sconfitta dei democratici in America, dove il 29% degli astenuti ha indicato il sostegno dell’amministrazione Biden/Harris a Israele come motivo principale del loro astensione. Se l’Unione Europea non si muove in modo unitario, si condanna alla vergogna, alla irrilevanza e all’impotenza per i decenni a venire».
È in contatto con molte persone che vivono nella Striscia?
«Sì, parlo con molti di loro regolarmente, e mi chiedono sempre la stessa cosa: ma il mondo sta vedendo come veniamo massacrati, affamati, bruciati vivi sistematicamente?”. Mi chiedono: “dov’è la comunità internazionale?”».
La politica di Netanyahu sta provocando anche una nuova ondata di antisemitismo. Nel frattempo esiste una parte di Israele che si oppone alla sua guerra: sono voci isolate o possono portare a una nuova politica di Tel Aviv?
«Il primo antisemita è Netanyahu, bisogna dirlo con chiarezza. Ma non è solo lui il pericolo: in Israele una intera classe politica, al di là delle apparenze, non vuole cambiare rotta rispetto all’occupazione e all’apartheid. Certo, nella società civile israeliana ci sono coraggiose voci di opposizione, ma non credo che da sole possano rovesciare la situazione. Non ce la possono fare senza l’aiuto delle pressioni occidentali sul governo genocida di Netanyahu. E lo sanno perfettamente, visto che continuano a chiedere il nostro aiuto».
In queste settimane si stanno levando voci, appelli, manifestazioni, navi che salpano. Ma non basta. Qual è una decisione che potrebbe davvero imporre un cambiamento di rotta?
«Il genocidio potrebbe essere fermato in pochi giorni se gli Stati Uniti e l’Unione Europea imponessero un embargo di armi e sanzioni paralizzanti contro Israele. Il loro fallimento nel prevenire il genocidio a Gaza avrà ripercussioni catastrofiche per generazioni».
Un’ultima domanda. In questi mesi c’è stato qualcuno che le ha detto: scusa Rula, avevi ragione tu?
«Fino a oggi nessuno».