Abbandonò il figlio neonato sotto un’auto: «Avevo paura, ora quel pensiero mi tormenta»
La trentenne di Osilo è accusata di tentato omicidio, il pm ha chiesto una condanna a 10 anni
Sassari «Quella notte mi sono ritrovata davanti a una situazione più grande di me. Senza preavviso di niente, senza un sintomo, nessun dolore che potesse farmi capire che a breve avrei partorito. Solo una gran voglia di spingere e far uscire la vita che avevo portato in grembo per nove mesi... Da quel momento il buio...». Sono alcune delle dichiarazioni spontanee rese ieri mattina al gup Sergio De Luca dalla 30enne di Osilo accusata di tentato omicidio per aver abbandonato, nel 2023, il figlio appena nato sotto un’auto. Parole che non hanno modificato le convinzioni dell’accusa. Il pubblico ministero Maria Paola Asara ha infatti chiesto la condanna dell’imputata a dieci anni di carcere. Fuori dall’aula le lacrime della mamma della 30enne, nonna del piccolo ora affidato a una nuova famiglia. «Non aveva alcuna intenzione di uccidere il suo bambino – ha ribadito con forza l’avvocato difensore Pietro Fresu – quella madre era solo una donna impaurita, terrorizzata».
La notte tra il 17 e il 18 ottobre di due anni fa la trentenne partorì in casa e poi abbandonò il bimbo sotto l’auto di sua madre, poco distante. Per la Procura il piccolo sarebbe stato esposto a pericoli di diverso genere che avrebbero potuto determinarne la morte. Inizialmente alla donna – che venne anche arrestata – era stato contestato il reato di abbandono di minore che poi era stato però riqualificato in tentato omicidio. A gennaio del 2024, infatti, il tribunale del Riesame, accogliendo l’appello dei pubblici ministeri Maria Paola Asara e Paolo Piras contro l’ordinanza del gip, aveva spiegato nelle motivazioni che «la volontà dell’indagata non era semplicemente quella di abbandonare il figlio, cosa che avrebbe potuto fare in vari modi salvaguardando la vita del piccolo, bensì quella di esporlo volontariamente a plurime e combinate fonti di pericolo per la vita, dalle quali non poteva che conseguire l’esito letale». Anche per il collegio presieduto dal giudice Antonello Spanu quella madre, in sintesi, «aveva agito deliberatamente per determinare le condizioni dalle quali sarebbe derivata la morte del bambino, che sarebbe sopraggiunta con ragionevole certezza senza l’intervento salvifico della nonna». E le ragioni a supporto di questa convinzione erano state esposte nell’ordinanza. Lo stesso tribunale aveva però ritenuto insussistente il “pericolo di recidiva” e aveva quindi detto no alla custodia in carcere, accogliendo le richieste degli avvocati Elisa Caggiari e Pietro Fresu. Anche perché a un certo punto la donna, incensurata, aveva «mutato atteggiamento ammettendo le sue responsabilità agli inquirenti». La 30enne aveva dato alla luce il figlio al termine di una gravidanza che aveva nascosto a tutti. L’aveva negata persino a se stessa. Forse arrivata nel momento sbagliato, forse frutto di un rapporto occasionale, in ogni caso una gravidanza “indesiderata”, come si usa definirla tradizionalmente. E freddamente. Una donna che non voleva diventare madre ma che, allo stesso tempo, non voleva uccidere il suo bambino. Come ha sostenuto anche ieri l’avvocato difensore Pietro Fresu. Perché se avesse realmente avuto l’intenzione di sbarazzarsi del neonato lo avrebbe nascosto molto più lontano e soprattutto in un punto dove nessuno, almeno non in tempi brevi, avrebbe potuto trovarlo. «Ricordo il mio senso di smarrimento, di paura – ha detto ieri al giudice – il turbine di emozioni che ho attraversato durante i nove mesi. Dallo sconforto iniziale per una gravidanza inaspettata, non voluta, all’accettazione della stessa, al portarla avanti per poi far avere una vita serena e piena d’amore alla creatura che portavo in grembo. Mi sono informata sul parto in anonimato, in ospedale. Il bambino sarebbe nato in sicurezza e sarebbe stato poi affidato a una famiglia che gli avrebbe dato tutto l’amore che io, in quel momento della mia vita, non sarei stata in grado di dargli». Oggi la 30enne ha acquisito consapevolezza degli errori commessi: «Convivo ogni giorno con il pensiero e non mi riconosco. Ho fatto un percorso psicologico che avrei dovuto intraprendere anni fa per risolvere traumi che mi trascinavo dietro». Il giudice deciderà il 9 luglio.