La Nuova Sardegna

La sentenza

Giovanni Satta condannato per droga: «Basta, sono un perseguitato»

di Marco Bittau
Giovanni Satta condannato per droga: «Basta, sono un perseguitato»

L’ex consigliere regionale ed ex sindaco di Buddusò: «Un processo inutile. Lotto da 16 anni»

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Olbia Senza, fiato, senza parole. Quasi barcolla Giovanni Satta dopo la lettura della sentenza di condanna a 8 anni e 6 mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Un colpo tremendo. Poi raccoglie le forze e parla, si sfoga, protesta, cercando di dare un senso agli ultimi 16 anni della propria vita passati a dribblare processi e inchieste giudiziarie. Prima di quest’ultimo altri 14, sempre conclusi con l’assoluzione o il proscioglimento.

«Sono sconcertato – dice – è come se questo processo non si fosse neppure svolto. In questi anni, udienza dopo udienza, abbiamo prodotto fatti, circostanze, testimonianze a mia discolpa. Abbiamo dimostrato la mia estraneità a tutti i fatti contestati, ma non è servito a niente». «È come una persecuzione – aggiunge l’ex consigliere regionale e sindaco di Buddusò – per 16 anni non ho fatto altro che difendermi nei tribunali da accuse di ogni genere, trattato come il peggiore dei criminali e messo alla berlina sui social e sui giornali. Mi chiedo quando finirà questo calvario e quando sarò finalmente lasciato in pace. Ho pensato persino di rinunciare a difendermi e di farmi arrestare una volta per tutte e scontare la pena per quello di cui sono accusato. La voglia di dire basta è tanta, ma non lo faccio soltanto perché ho una famiglia, un figlio, tanta gente che ancora mi vuole bene». Sono parole amare quelle di Giovanni Satta, che per tutta la durata del processo non ha perso un’udienza. Sempre presente a costruire insieme ai suoi difensori – gli avvocati Angelo Merlini e Donatella Corronciu – l’ariete per abbattere il muro di accuse eretto dalla pm della Direzione distrettuale antimafia, Rossana Allieri. «Io sono innocente e l’ho pure dimostrato – dice – Eppure in questo processo mi è stata inflitta la condanna più pesante. Come dicono anche i miei difensori, nei miei confronti è stata persino riesumata l’accusa di associazione a delinquere che già era stata dichiarata insussistente persino dalla Cassazione nel giudizio sulle misure cautelari. La Corte aveva affermato con chiarezza l’insussistenza dei presupposti di base dell’associazione per delinquere, invece sono stato condannato lo stesso per quel reato».

«E poi le macchine – aggiunge Satta –. Non c’è traccia e ho fornito tutte le prove, ma per l’accusa sarebbero state la merce di scambio per la droga. Mi chiedo come è possibile, mica automobili vanno e vengono dal nulla. Sono tracciabili e da qualche parte dovranno pure risultare. Invece, nulla. La verità è che in questo processo non ci sono prove della mia colpevolezza, solo pregiudizi. Tutti i testimoni mi hanno scagionato, persino i pentiti hanno deposto a mio favore. Nessuno ha mai detto di avermi consegnato droga, ma non è servito a nulla». L’idea del “processo inutile” è un tarlo che divora il cervello e che da semplice sospetto diventa solido convincimento. «Mi sono spaccato la schiena nelle aule del tribunale – conclude Giovanni Satta con l’ultimo filo di voce rimasto in gola– sono stato in aula ogni udienza e mi sono battuto con tutte le forze cercando documenti, fatti e testimonianze per provare la mia innocenza. Ho ribattuto punto su punto ogni accusa formulata nei miei confronti. Con i miei difensori avevamo fiducia, convinti di aver raccontato la nostra verità in un processo giusto. Invece, è arrivata una mazzata del tutto inattesa, una di quelle che lasciano senza fiato e che fanno riflettere su tutto».

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