Da Santa Teresa a Capo Nord, 4000 km in bici contro se stessi
E’ l’avventura del gallurese Antonio Azara insieme al cagliaritano Luca Manca. «Abbiamo attraversato l’Europa sotto la pioggia. Che meraviglia l’ospitalità degli svedesi»
Santa Teresa Gallura Da un Capo Nord all’altro, con la sola forza delle gambe. Da quello sardo, Santa Teresa Gallura, in bicicletta sino al mitico North Cape a settentrione della Norvegia dopo 400 chilometri: è l’impresa compiuta da Antonio Azara, teresino, 46 anni compiuti in viaggio, insieme al cagliaritano Luca Manca, che lavora alla Rinascente. Laureato in Scienze motorie a Torino, impiegato nello studio commercialista di famiglia, è stato calciatore dilettante con la squadra del suo paese, «poi sono passato alla bicicletta, tutta un'altra filosofia». «Avevo già fatto la North Cape 4000, nel 2021 – racconta – un evento che viene organizzato ogni anno. Con Luca Manca abbiamo partecipato nella sezione Ultra Cycling, abbiamo fatto gioco di squadra, lui bravo nella parte meccanica, io in inglese».
L’Europa sotto la pioggia. «Si partiva tutti da Rovereto e dopo i bellissimi passaggi in Trentino Alto Adige e il passo del Brennero, passando per l’Austria e abbiamo dormito a Innsbruck, per poi entrare in Germania e ottenere il primo timbro nei gate obbligatori a Monaco, quindi dopo un breve tratto in Repubblica Ceca, a Berlino. Ingresso in Polonia da dove abbiamo preso il traghetto per la Svezia, con sbarco a Ystad, e abbiamo percorso il paese scandinavo per circa 2000 km passando per il gate di Granna; ingresso in Finlandia con tappa a Rovaniemi, il paese di Babbo Natale, quindi l’arrivo a Capo Nord, in Norvegia. È durata 15 giorni e 11 ore, dal 26 luglio al 10 agosto, percorrendo 260-270 km al giorno di media. Si riposava solo 4 ore, dall’1 alle 5, tolte le pause per mangiare si stava in bici sino alle 22-23. Abbiamo trovato quasi sempre pioggia. E freddo. Molto freddo. Il 5 agosto c'era il caminetto acceso nell’hotel che ci ha ospitato in Svezia».
Forza di volontà. Tentazione di ritirarsi? «Quando arrivano il freddo, la pioggia e la stanchezza serve tanta, tanta forza mentale, e infatti molti si sono ritirati, forse più dalla metà. Ma io sapevo a cosa andavo incontro, avevo sempre sensazioni positive, ci si spronava a vicenda ed ero sicuro di farcela ad arrivare all’obiettivo, anche se pensavamo di metterci un giorno in meno. Dopo il via si crea un serpentone, c'è chi va a un passo più veloce, chi più lento, dipende se si interpreta come gara o come viaggio. Noi puntavamo a tenere un ritmo che ci consentisse l’arrivo nel minor tempo possibile. Ma qualcuno è arrivato pochi giorni fa. No, la tentazione di mollare non l’ho mai avuta, anche se è stata davvero dura».
L’arrivo alla meta. In Scandinavia le giornate si sono fatte più lunghe, per via della latitudine. Il sole non tramontava mai, c'è un tunnel terribile per arrivare sull’isola in cui sorge Capo Nord che scende 200 metri sotto il livello del mare. «Poi c’è una salita pazzesca di 30 km da Onnisvag prima della meta, non si arriva più ma è tutto bello perché il paesaggio è davvero suggestivo. Solo che mi sono ritrovato col copertone completamente mangiato sino alla tela, e che è scoppiato poco dopo l'arrivo». Si arriva sul luogo sognato da molti, sembra un miraggio: «C’è il famoso mappamondo, l’emozione delle foto di rito, la felicità per avercela fatta. Poi la notte all’aperto sulla panchina di una fermata del bus, con il telo termico perché faceva un freddo pazzesco. L’indomani abbiamo scoperto che avremmo potuto riposarci e mangiare in hotel in un paesino poco distante...»
Ospitalità nordica. «Nelle varie tappe il primo pensiero era cercare da mangiare: «In un market o in una stazione di servizio. Nelle città grandi era più semplice, in altre abbiamo avuto qualche difficoltà. Ma per fortuna abbiamo scoperto l’ospitalità e la gentilezza prima dei tedeschi e poi degli svedesi. In Germania una famiglia ci ha ospitato, ci hanno visto in crisi e “rimanete da noi, fatevi la doccia”. Era il giorno del mio compleanno, il 30 luglio, e sembravamo amici da sempre, ci hanno offerto la birra, cibo, ci hanno fatto dormire a casa loro, senza conoscerci. Una signora svedese ha aperto il suo hotel chiuso, ha lavato e asciugato i nostri indumenti, portandoceli in camera insieme alla cena. Un’altra ci ha ospitato e ci ha portato un’omelette, e alle 5 ci ha preparato la colazione. Spesso ti chiedevano se avessi bisogno di aiuto, o ci offrivano il caffè senza che glielo chiedessimo. Una volta un signore ci ha preparato la pasta, ci ha dato la torta della madre e lavato i vestiti».
Paesaggi da sogno. «Dal punto di vista paesaggistico, la Svezia è il Paese che mi più colpito: le renne, il sole di mezzanotte. Ci sono tanti lì che fanno bivacco per godersi la natura. Silenzio in mezzo al nulla. Ma anche pedalare vedendo le piantagioni di meli in Trentino è uno spettacolo». Ma si riesce a godersi i posti? «Corri, corri, ma pedalando hai anche occasione di ammirare i luoghi». Occorre sicuramente una buona preparazione: «Io vado in bici da tanto, faccio mountain bike, per l’inverno mi sono comprato i rulli per gli allenamenti indoor. Ma per una prova del genere in cui fai anche 300 km al giorno non ce una preparazione davvero specifica». Che tipo di bici ha usato? «Una gravel comprata proprio a giugno, una bici diversa rispetto a 4 anni fa, con copertoni da 32, cambio elettronico. Si porta l'essenziale per non appesantirsi: il telo termico d'emergenza, la maglia e la giacca invernali».
Spostamento a ovest. La volta precedente Azara avevo partecipato a un’edizione da 4600 km, la più lunga, durata 21 giorni. «Costava di meno perché si attraversavano diversi Paesi dell’est, quindi tutta la Finlandia, in tutto 11 nazioni. Ma la guerra ha spostato il percorso verso ovest». Cosa si vince? «Niente. Qualcuno ci guadagna con i social e con la pubblicità, c'è chi è sponsorizzato. Io avevo lo sponsor tecnico di Brico e il patrocinio “Love Santa Teresa” della mia amministrazione comunale. Ma è una sfida personale prima di tutto. E poi, vabbè, hai la possibilità di conoscere un sacco di persone e di condividere l’esperienza». Cosa spinge a fare un’esperienza del genere? «L’idea di resettare la mente e uscire fuori dalla comfort zone per sfidare te stesso e vedere i tuoi limiti fisici e anche mentali. C’è chi dice che si arriva all’80% con la testa e al 20% con le gambe. Ed è vero. Ma occorre capacità di adattamento, il focus di voler arrivare lì. Si torna con un bagaglio culturale e un insegnamento di vita unici. Rifarlo? Forse. Ma questa volta pensavo alla Capo Nord-Tarifa, 7000 km. La faranno nel 2026, si parte da Capo Nord alla mezzanotte del 21 giugno per arrivare alla punta meridionale della Spagna. Vediamo».