La Nuova Sardegna

L’indifferenza che alimenta il razzismo

di Daniela Paba

Migrazioni e xenofobia: alla comunità La Collina dibattito con Luigi Manconi, Renato Soru ed Ettore Cannavera

02 ottobre 2017
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Se non apertamente razzisti, quantomeno xenofobi. Comunque indifferenti e disposti a barattare valori e diritti universali in nome della paura. E’ questo il risultato dell’analisi di “Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura”, edito da Feltrinelli e presentato sabato sera alla Comunità La Collina, nel dibattito lungo e appassionato con don Ettore Cannavera, Luigi Manconi – autore del libro insieme Federica Resta – e Renato Soru.

Una nuova Shoa. L’indifferenza come peccato è stata evocata da Cannavera per introdurre il tema, a partire dall’ultimo capitolo del libro dove l’ecatombe di naufragi nel Mediterraneo, provoca la stessa reazione che ha consentito la tragedia della Shoa, una disumanizzazione delle vittime, ridotte a numeri, siano essi morti o sopravvissuti, e qui il razzismo affonda le sue radici più profonde. «Capire qual è il fondamento del razzismo che non siamo capaci di riconoscere in ciascuno di noi ci aiuterà a uscire tutti un po’ meno razzisti», ha spiegato il sacerdote. Chiamati a rispondere come politici, impegnati in prima persona contro l’industria della paura, Renato Soru e Luigi Manconi hanno reagito ognuno a suo modo. Riflessivo e pragmatico, il primo ha rivendicato alla politica il ruolo di oreintare una opinione pubblica oggi fomentata dalla narrazione drammatica dei mass media, complici i partiti che fanno leva sulla paura del diverso per guadagnare voti.

Costruire il futuro. «La politica migliore – ha detto Soru – ha il compito di rassicurare, come una madre il proprio figlio, che se anche la vita può andare male, non bisogna temere. C’è sempre un deserto da attraversare, un futuro da costruire, ma certo non bisogna girarsi dall’altra parte». Animato dall’ottimismo della volontà, Luigi Manconi ha posto in guardia rispetto al «rischio di sentirsi affranti, fatalmente sconfitti; tale è il peso dell’ostilità che misuriamo quotidianamente nella campagna d’odio in atto». «Questa è una fase davvero brutta, triviale – ha spiegato Manconi con riferimento alla battaglia sullo ius soli, «per la quale sono previste iniziative clamorose come lo sciopero della fame a staffetta e la raccolta di firme per abolire la Bossi Fini nella prossima legislatura».

Cattiva informazione. Quanto al libro, Manconi ha spiegato che titolo e sottotitolo risalgono ai primi anni Novanta quando si diceva: “Non sono razzista, ma… tutti gli albanesi sono ladri – oppure – tutti i romeni sono stupratori seriali. Allora in Italia c’erano solo 500.000 stranieri, ma già operavano gli imprenditori politici della paura e 27 anni di distanza da allora ci hanno insegnato poco». La prima parte della frase che tutti ripetono come un tormentone è da interpretare come una dichiarazione di fede nei valori universali dell’uguaglianza e come un rifiuto di una gerarchia delle razze. Il “ma…” rappresenta però la deroga: «Una dichiarazione di eccezione tale che quel valore assoluto è compromesso, eroso, quel principio universale è meno assoluto». L’accusa di razzismo nelle discussioni non aiuta perché «l’affiorare di sentimenti razzisti riguarda ciascuno di noi, la tentazione razzista si insinua e nessuno ne è immune. Sia perché tuttora pensiamo che sia la più disonorevole delle accuse, ed è dunque un’imputazione da usare con la massima prudenza, perché sortisce l’effetto di radicalizzare l’avversario, facendo di lui un razzista a tempo pieno». Meglio dunque parlare di xenofobia, paura dell’altro, dello sconosciuto, del diverso, dell’ignoto».

Guerra tra esclusi. Secondo il sociologo Manconi «oggi la xenofobia si manifesta negli strati sociali più vulnerabili, che vivono un impoverimento del welfare, e non tanto per paura che gli immigrati rubino il lavoro, per la fatica della convivenza. La posta in gioco sono gli spazi fisici: l’abitazione e la tangibile troppità». Quando le comunità di migranti si concentrano numerose nelle periferie, nelle piazze, nelle stazioni, quando case e strutture vengono assegnate all’accoglienza, la tentazione razzista passa di lì.

Approccio pragmatico. E non serve, davanti alle proteste e ai malumori, sventolare i dati reali, le statistiche di Tito Boeri che ricorda quanto gli stranieri ormai da anni contribuiscano a pagare le nostre pensioni; e neppure il rapporto di Confindustria che attribuisce loro l’8 per cento del Pil. La nostra sfera emotiva non reagisce ai dati scientifici quando si tratta di attribuire una casa a una famiglia italo marocchina. «Per ribaltare il racconto mediatico occorre un approccio pragmatico – sostiene Manconi – non possiamo affidarci ai buoni sentimenti che ciascuno di noi ha ha».

Demografia e solidarietà. «Dobbiamo sapere – ha ricordato Manconi – che nel 2050 la Nigeria avrà più abitanti dell’Europa, per cui o la bombardiamo o ci confrontiamo coi loro problemi aiutandoli a risolverli, sapendo però che il loro ritmo di sviluppo è talmente lento che molti decideranno comunque di migrare. Ma questa è demografia e non solidarietà. Io voglio la piena tutela dei diritti perché penso che se i loro diritti sono rispettati lo saranno anche i miei». Nel 2013 al largo di Lampedusa sono morti 366 eritrei: «Nei venti anni precedenti nello stesso luogo – ha concluso Manconi – sono morti ventimila uomini che hanno cercato di attraversare il mare per raggiungere l’Europa. Come abbiamo consentito tutto questo senza fare una piega? Abbiamo pensato che quei morti non erano come noi, erano sotto-uomini, altrimenti non l’avremmo permesso».

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