La Nuova Sardegna

Panatta: «Da piccolo volevo fare il medico ma è arrivata prima la racchetta»

Mario Frongia
Panatta: «Da piccolo volevo fare il medico ma è arrivata prima la racchetta»

Il grande Adriano racconta in Sardegna la sua vita da campione

25 giugno 2022
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«Il tennis visto nei film? Noiosissimo e per nulla credibile». Adriano Panatta, alla sua maniera. Tshirt blu, bermuda in tinta le mitiche Superga viste trionfare al Roland Garros, agli Internazionali d’Italia e in Davis contro il Cile, è stato ospite al Forte Village al Filming Italy Sardegna. Il tennista che negli anni Settanta è stato capace di duettare e vincere con i grandi della disciplina, ha ancora quel filo di sorniona irriverenza che si intreccia a simpatia e modi spicci, usuali dalle parti del Tevere, «Ho visto il film su McEnroe e Borg. L’attore che ha interpretato Bjorn, che ho frequentato e conosciuto molto da vicino, è stato davvero bravo, anche in certe smorfie e sfumature. Però, nonostante gli effetti speciali, la resa cinematografica è modesta. E non lo dico per snobismo». Il cinema, dunque. Panatta taglia corto: «Sono un grande appassionato, specie in tv vedo tutto, da “Transformers” a “Caos calmo”. Nessuna puzza sotto il naso ma devo anche dire che certi film impegnati mi impegnano così tanto che non li guardo. E sono convinto che le produzioni italiane degli anni Sessanta fossero già molto avanti».

Qual è la sua best list?

«Intanto, nelle cose nuove vado alla ricerca di qualcosa che mi stupisca. Altrimenti, preferisco l’usato sicuro. E metto in cima Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Sì, vedo sempre pellicole dove c’è tanta Roma. Proprio qui al Forte Village ho rivisto per la ventesima volta su Rai 3 “Poveri ma belli”: spettacolare».

Roma, come la definirebbe?

«Una bellissima signora con tante rughe. Ma è sempre molto affascinante. Certo, forse dovrebbe andare un po’ più spesso dal parrucchiere».

Passo indietro. Il tennis ai vertici, la notorietà. Il bilancio è positivo?

«Sì, non ho alcun rimpianto. Tutto è andato nel modo più naturale possibile. Anche adesso, non devo gestire la parte o chissà cosa. Certo, da ragazzino pensavo che sarebbe stato bello fare il medico. Ma la vita sceglie per sé».

Cosa rifarebbe o cancellerebbe?

«Avrò commesso un milione di errori ma non ho recriminazioni. Dei miei tempi rivedo poco e su me stesso ancora meno. Sono uguale ad allora. Forse, solo il tono della voce è appena più profondo».

Adriano, il tennis e poi?

«Il mare e i motori. Per 25 anni sono andato a velocità folli nell’offshore. Ho rischiato di morire tre o quattro volte, era bello e pericoloso. Facendomi la barba allo specchio mi dicevo tu sei proprio matto. Poi, indossavo il casco e andavo a gareggiare».

La Coppa Davis vinta nel 1976. Che roba è stata?

«Eravamo molto arrabbiati, sentivamo quel che si consumava in Cile come una gigantesca ingiustizia. La nostra serie “La squadra”, grazie a un lavoro monumentale di Domenico Procacci, racconta stati d’animo di diverso stampo. In Italia e in Europa c’erano dibattiti sul doverci andare a giocare o meno. Giocarla e vincerla è stata la scelta migliore».

La vostra serie, andata su Sky documentaries e Now, racconta vittorie, vizi e virtù dal 1976 al 1980. Scazzottate, scarpe perse, donne e le vostre quattro finali di Davis in cinque anni. Soddisfatto?

«Quello fenomenale è stato Procacci: io, Paolo, Corrado, Tonino e Nicola (Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli e Pietrangeli, ndc) abbiamo registrato senza quasi mai incontrarci. Un vero miracolo. La docuserie racconta bene un po’ tutto, e non solo i nostri risultati, di quegli anni».

Quant’è cambiato il tennis?

«Lo sport in genere è cambiato. Io prendevo il trenino per Fiumicino, salivo su un aereo e andavo a fare i tornei. Da solo. Adesso, è impensabile, con i giocatori c’è una corte dei miracoli. Inoltre, lo sviluppo biomeccanico nel tennis è stato superiore a quello dei talenti e della tecnica: adesso la palla va talmente veloce che si ha meno tempo per trovare soluzioni».

Panatta, meglio Federer o Nadal?

«Roger in assoluto. Ma anche Rafa Nadal ha un talento diverso e smisurato. Basta soltanto vedere cosa ha fatto in quest’ultimo mese».


 

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