Giuseppe Meloni: «Il Governo deve alla Sardegna almeno 200 milioni»
L’assessore al Bilancio al Ministero dell’Economia. Con lui i presidenti delle altre Regioni a statuto speciale: chiedono più risorse
Cagliari Da domani le commissioni del consiglio regionale torneranno a riunirsi per esprimere i loro pareri, ciascuna per il settore di competenza, sul Documento di Economia e Finanza Regionale per il triennio. Il testo è stato licenziato dalla giunta l’8 agosto. In questa intervista l’assessore al bilancio e vicepresidente della giunta Giuseppe Meloni illustra i punti qualificanti del documento e presenta l’incontro che oggi a Roma i rappresentanti delle Regioni a Statuto Speciale, tra cui i presidenti Schifani (Sicilia) e Fedriga (Friuli) avranno con il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti. Si parlerà di soldi promessi e non dati.
Assessore, cosa si aspetta dall’incontro del pomeriggio al Mef?
«Mi aspetto innanzitutto che il governo mantenga gli impegni presi. Nella legge di bilancio di quest’anno ha scritto che avrebbe avviato un confronto con tutte le Regioni a Statuto Speciale, per definire e liquidare a partire dal 2025 le compensazioni legate alle manovre fiscali. In questa riunione chiesta da tutti i presidenti, Todde in testa, chiediamo che dalle promesse si pass i agli atti».
Di cosa si tratta e di che cifre stiamo parlando?
«Gli Statuti speciali riconoscono alle Regioni un margine importante di autonomia finanziaria, che si traduce nel trattenere sul territorio una parte delle entrate fiscali. Nel caso della Sardegna, la norma prevede che sette decimi dell’Irpef riscossa nell’Isola spettino alla Regione. È una regola chiara, ma nella pratica le cifre esatte le conosce solo il governo centrale, che le comunica a consuntivo: l’anno successivo viene determinato quanto spettava per l’anno precedente, sulla base dei suoi calcoli. Ciò significa che l’importo effettivo dipende anche dall’andamento complessivo dell’economia nazionale e non sempre corrisponde a ciò che ci aspetteremmo. Per questo chiediamo trasparenza e certezze: la Sardegna ha diritto a vedere riconosciute fino in fondo le proprie entrate».
Per la sua esperienza, come si è comportato il Governo negli ultimi anni. Ha saldato quanto doveva?
«No. il Governo non ha saldato quanto dovuto. Ha erogato solo una parte delle risorse spettanti, soprattutto per quanto riguarda le compensazioni legate alle minori entrate fiscali. Il Ministero dell’Economia presenta i suoi dati, che risentono anche dell’andamento complessivo del carico fiscale: se i cittadini pagano meno tasse, automaticamente si riduce anche la quota destinata alle Regioni. È una scelta che può sembrare positiva per lo Stato, che punta sulla riduzione delle imposte come leva di crescita, ma che di fatto scarica il peso sulle Regioni, Sardegna compresa. Ecco perché sono indispensabili le compensazioni: senza di esse i nostri bilanci vengono penalizzati, mentre la crescita rimane solo un’ipotesi. I dati provvisori sul gettito Irpef dell’anno in corso, purtroppo, confermano questa preoccupazione, registrando un calo significativo che non possiamo ignorare».
Potranno arrivare somme significative dal Governo oggi?
Difficile dirlo. Le cinque Regioni (Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli e il Trentino Alto Adige con le due provincie autonome) si presentano unite al confronto. Ritengo plausibile che il governo riconosca di dover erogare risorse per il 2025 alle Regioni. Vedremo se lo farà nell’ordine delle decine di milioni di euro o in quello delle centinaia. Alla Sardegna mancano circa 200 milioni nel 2025. Di fronte al nulla credo che la risposta di tutte le regioni sarà forte e netta».
Ma questo dossier si incrocia con quello che riguarda le decurtazioni sui rimborsi irpef e l’insularità?
«Si tratta di altri dossier che necessariamente dovremo affrontare presto in un bilaterale Regione-Governo. Nel primo caso si tratta della contabilizzazione in negativo dei crediti d’imposta sul capitolo 1200 del bilancio dello Stato. Siamo andati in giudizio, a dicembre prima udienza in Tribunale. Confidiamo di trovare un accordo soddisfacente prima, in modo da inserire anche questi fondi nella prossima finanziaria. Per l’insularità vogliamo capire le reali intenzioni del governo, come riconosce gli svantaggi e in quali termini vorrà compensarli. Ovviamente andremo con delle proposte».
Da domani in Consiglio si discute di Defr. Il documento è un primo bilancio delle scelte compiute con il Programma Regionale di Sviluppo. Prevedete ulteriori modifiche?
«Sì. Il Defr è uno strumento dinamico e verrà sicuramente aggiornato, soprattutto alla luce della prossima legge finanziaria e delle eventuali nuove entrate che potranno arrivare dallo Stato. Ci auguriamo che queste possano migliorare il quadro complessivo. Quello che non intendiamo modificare sono però i punti strategici, le linee guida che restano il cuore della nostra azione».
Quali sono?
«Cinque. La prima è Vivere i territori: cioè considerare le comunità e i territori come luoghi da abitare e rigenerare, con politiche di sviluppo locale, contrasto allo spopolamento, coesione e abitare sostenibile. La seconda è Prendersi cura delle persone, con interventi in ambito sanitario, sociale e sportivo. La terza è Conoscere per crescere, rafforzando il capitale umano attraverso istruzione, formazione, lavoro e cultura. La quarta è Innovare per competere, puntando sulla transizione ecologica ed economica come leva per uno sviluppo duraturo, competitivo e diffuso, integrando politiche industriali, agroalimentari, turistiche e ambientali. La quinta: Governare con i territori, rafforzando la capacità istituzionale, la modernizzazione amministrativa e l’equità territoriale. Tutte le nostre azioni si muovono in queste cornici. Se avessimo più risorse, potremmo realizzarle con ancora maggiore forza».